Dall'ideologia al compromesso: UEFA-Superlega, oltre le questioni di principio
- La sentenza della Corte di Giustizia UE ha posto la luce su una spaccatura
- Reichart presenta la nuova Superlega: Perez esulta, le istituzioni minimizzano
- La ricerca di una terza via, oltre le barricate e le chiusure a priori
Un passaggio potenzialmente storico, perlomeno a livello formale, rende complesso e quasi innaturale l'individuazione di un punto di equilibrio: vincitori e vinti, chi esulta e chi si rammarica, chi enfatizza e chi d'altro canto minimizza l'accaduto. Una storia già vista, senz'altro, ma che trova adesso un esempio ancor più lampante nelle diverse reazioni alla sentenza della Corte di Giustizia Europea in merito alla posizione della UEFA. Non si trattava del resto di un pronunciamento "sulla Superlega" in senso stretto ma di una tappa propedeutica a mantenere vivo il progetto di A22, a dargli nuova spinta propulsiva.
L'idea di lavorare alla creazione di nuove competizioni, fuori dall'egida UEFA, passava necessariamente da un simile riconoscimento e questo - sentenza alla mano - è arrivato: UEFA e FIFA in sostanza agiscono, secondo la stessa sentenza, senza garantire criteri di "trasparenza, obiettività, non discriminazione e proporzionalità" come invece si richiederebbe a "un’impresa in posizione dominante ha il potere di determinare le condizioni in cui le imprese potenzialmente concorrenti possono accedere al mercato". La posizione dominante non è il nodo in sé, dunque, ma lo diventa nel momento in cui non si attiene a principi di concorrenza e si tramuta - agli occhi della Corte - in un monopolio (in un abuso di posizione dominante). Il tutto con la concreta traduzione in sanzioni che la Corte ha definito ingiustificate.
Dalla reazione...
Diventa difficile, alla luce della sentenza, sposare la volontà di minimizzare espressa dai vertici UEFA e FIFA e da più protagonisti istituzionali del mondo del calcio: l'idea che tutto resti necessariamente immutabile viene meno, i promotori della Superlega hanno adesso in mano un'arma comunque affilata, comunque evidente e istituzionalmente riconosciuta. Non più progetto ai limiti del piratesco, manipolazione oscura da condurre segretamente, ma entità con forme e contorni ben definiti, ora legittimata dall'alto e pronta a prendere concretamene vita (presentata nel dettaglio subito dopo la sentenza).
D'altro canto, in questa necessaria ricerca di un compromesso per comprendere la direzione delle cose, può apparire fin troppo enfatica e prematura l'idea di una vittoria definitiva, l'idea di una rivoluzione imminente che scuota il mondo del calcio nei prossimi anni e ne ridefinisca del tutto i contorni. Non si tratta solo di riconoscere il discorso di diritti TV già assegnati fino al 2027, ponendo dunque un limite di tempo difficilmente eludibile, ma di comprendere quanto Federazioni nazionali, singoli club anche di primo piano e persino Governi restino impermeabili all'entusiasmo mostrato ieri da Reichart (con Florentino Perez pronto a fargli eco).
Alla necessaria riflessione
Entrambe le posizioni più estreme, dunque, appaiono premature e viziate da un pregiudizio per certi versi ideologico: la Superlega come ricetta per i mali del calcio o la Superlega come male assoluto da debellare. Posizioni di principio che non tengono conto dell'aspetto cruciale, ribadito curiosamente da chi non fa dell'equilibrio (in genere) la propria cifra comunicativa: "Apre un precedente di diritto. La Superlega è stata una mossa sbagliata, che però ha sortito questo cambiamento. Adesso bisogna fare un ragionamento serio" ha affermato De Laurentiis al Corriere dello Sport commentando la sentenza.
Il fulcro della faccenda non risiede dunque nella vendetta di Agnelli e Perez sui loro detrattori, come sfida personale, e nemmeno nella Superlega come rappresentazione plastica di un futuro radioso: a questo punto c'è un precedente, non più figlio di illazioni ma di una sentenza, che non rende più impermeabile a priori l'assetto delle competizioni calcistiche di alto livello, che non rende più impossibile (per i club) lavorare per intraprendere un percorso diverso, alternativo.
La spinta necessaria è dunque quella al compromesso: occorre prima di tutto comprendere come rendere la UEFA più in linea con gli input ribaditi dalla Corte, riferendosi a trasparenza e obiettività, occorre tradurre questa sentenza in tavoli di lavoro - anche tra elementi tra loro avversi - che ci tirino fuori dalla logica faziosa delle "questioni di principio". Si tratta, infine, di trarre quanto di buono si può da una traccia di cambiamento, pur tutelando l'integrità della piramide calcistica europea e il ruolo centrale dei campionati nazionali (ineludibile vincolo storico-culturale senza il quale il calcio europeo rischierebbe per sgretolarsi).