Rabiot, Gabriel Jesus e Maitland-Niles: storie di 'mamme nel pallone'

Gabriel Jesus con la madre
Gabriel Jesus con la madre / Buda Mendes/GettyImages
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Così come un professionista, nello specifico un giocatore, non può essere identificato solo ed esclusivamente con la sua dimensione sportiva - poiché uomo prima ancora che calciatore - allo stesso modo le figure che lo circondano e che ne accompagnano l'affermazione, a livelli più o meno alti, toccano la sfera degli affari così come quella dei legami familiari.

Contratti o legami di sangue, in sostanza, spinte e interessi che talvolta si mescolano oppure collidono. Non si tratta qui di storie da libro cuore, perlomeno lo si fa solo inciampandoci sporadicamente, ma di figure che non fanno solo da cornice di un percorso sportivo, finendo talvolta per incidere in maniera dirompente sulla carriera dei figli, sulle loro scelte e sul loro profilo da calciatori.

Possiamo isolare e tracciare il profilo di tre percorsi distinti, strade talvolta parallele o in chiara opposizione, vite diverse e diversi destini con un elemento chiaro sullo sfondo: il ruolo delle madri nella vita calcistica di elementi del calibro di Adrien Rabiot, Gabriel Jesus e Ainsley Maitland-Niles.

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Veronique Rabiot / FRANCK FIFE/GettyImages

Veronique

La più discussa delle madri "nel pallone", perlomeno pensando al panorama italiano degli ultimi anni, risponde al nome di Veronique Rabiot. Una figura certo discussa anche in Francia ma che, in Italia, salì alla ribalta già in occasione del mancato approdo del classe '95 alla Roma: Sabatini ha spiegato senza mezzi termini come la signora Rabiot volesse interagire in modo diretto con Garcia, generando un corto circuito che agli occhi del ds sarebbe stato deleterio e, dunque, inaccettabile. Tanto da far saltare tutto.

Al dl ià di un primo contatto tutt'altro che morbido con la realtà italiana si sottolinea come la figura di Veronique Rabiot sia stata al centro di numerosi casi, di altrettante critiche, anche in Patria così come durante l'esperienza nell'Academy del Manchester City. L'esperienza inglese, di fatto la prima del giovanissimo Rabiot, vide sorgere già le prime schermaglie tra la madre-manager e la dirigenza di un club - i Citizens in questo caso - e il ritorno in Francia, col Paris Saint Germain, non spostò di fatto la situazione: fin da subito i rapporti furono tesi, le richieste della madre di Rabiot erano considerate eccessive dal club e, al contempo, la stessa signora Veronique si aspettava un trattamento e una considerazione diversa.

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Rabiot a Tolosa / AFP/GettyImages

Dalla richiesta di seguire il figlio nella tournée in Qatar alla posizione dei tecnici, che ritenevano fuori luogo avere una madre così a stretto contatto col campo e con gli affari interni alla squadra, quel che emerge (anche a posteriori) è senz'altro un profilo ingombrante, presente in modo costante, con tutta la volontà di far sentire la propria voce, senza filtri o timori reverenziali di sorta. Diventerebbe però colpevolmente miope soffermarsi soltanto sull'aspetto folkloristico, oltre che sulla legittima intenzione dei tecnici di tenere lontano elementi esterni dallo spogliatoio.

Occorre difatti comprendere come il percorso di Rabiot e della madre si leghi al dramma familiare vissuto, quello del padre del centrocampista - Michel Provost - rimasto paralizzato a causa di una patologia neurologica quando Adrien aveva appena 12 anni. Una figura, quella del padre, che rappresentava fin lì la principale spinta nell'inseguimento di un futuro da stella del calcio, nella costruzione di quel sogno. Uno scettro di protezione e di lotta (contro il mondo) che passò in modo diretto e saldo nelle mani della madre.

Vera Lucia

Legami e presenze forti, toni però del tutto differenti: anche la carriera di Gabriel Jesus ha nella madre - Vera Lucia - un vero e proprio motore costante, un accompagnamento silenzioso ma permanente. Basta del resto rifarsi a quell'esultanza così iconica del brasiliano, la mano portata all'orecchio per imitare una telefonata: un gesto semplice che dice tutto sul rapporto tra l'attaccante del Manchester City e, appunto, la madre.

Un segno di devozione e riconoscenza verso chi è rimasto sempre al fianco di un ragazzo e del suo sogno, nei momenti difficili come in quelli di gloria. La storia è quella di un rito: la telefonata dopo un gol. Del resto si trattava di quello stesso gesto che la madre faceva anni prima, nei pomeriggi che Gabriel Jesus passava a giocare, nelle ore trascorse a inseguire un pallone, tanto da perdere di vista lo scorrere dei minuti (e da giustificare l'apprensione materna).

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Gabriel Jesus con la madre / Buda Mendes/GettyImages

Una presenza rimasta costante quando sembrava troppo tardi per avere successo nel grande calcio, quando la disillusione appariva dietro l'angolo: un figlio tirato su da sola e un rapporto rimasto saldo, percepito talvolta (anche se in modo meno dirompente rispetto al caso di Rabiot) come troppo ingombrante agli occhi esterni.

Jane

Si torna poi su atmosfere meno gioiose, che riescono anche a superare per certi versi il percorso descritto soffermandosi su Rabiot: dal soli contro il mondo a uno contro l'altro, una deriva che parte da una presenza costante e si traduce infine in un contrasto. L'inizio del 2016, con un giovane Maitland-Niles in prestito all'Ipswich, vide la madre dell'attuale giallorosso arrivare allo scontro con l'allenatore McCarthy a causa di pressioni per far giocare il ragazzo.

Una pressione tale da spingere il tecnico a reagire esattamente in direzione contraria, lasciando Maitland-Niles ai margini e togliendogli minutaggio. La madre Jane già in precedenza si era resa protagonista di contrasti con lo staff dell'Arsenal, club in cui il figlio si stava formando (e che del resto ne detiene ancora il cartellino). Intemperanze pesanti, tanto da condurre all'allontanamento dal campo dell'Academy e addirittura all'arresto.

Un rapporto per certi versi morboso che, come raccontato nel 2018 dalla madre, ha poi condotto a una rottura e alle accuse - della stessa Jane - nei confronti del figlio, reo a suo dire di averle voltato le spalle e di non averle dato sostegno in un periodo di difficoltà economica. In questo caso, in sostanza, il distacco è stata la sola posizione possibile per poter andare avanti, per proseguire la carriera: l'unica soluzione reale per superare quell'abbraccio troppo stretto per poter davvero respirare.


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