Possono davvero esistere criteri oggettivi per valutare le plusvalenze?
Il 12 aprile si è tenuto a Roma il primo giorno del processo sportivo sulle plusvalenze che coinvolge 11 club tra Serie A e Serie B e 61 dirigenti accusati di illeciti amministrativi. Secondo la Procura federale, le società accusate hanno infatti imbastito una rete di trasferimenti con l'obiettivo di migliorare i rispettivi bilanci.
A essere scambiati erano giovani giocatori che venivano venduti ad altre società con un valore decisamente spropositato rispetto a quello effettivo. Le operazioni vagliate dagli inquirenti riguardano ad esempio il passaggio di Osimhen al Napoli (avvenuto con delle contropartite sovrastimate), lo scambio Arthur-Pjanic tra Juventus e Barcellona, oppure il trasferimento di un giovane Pinamonti dall'Inter al Genoa per 19 milioni di euro.
A prima vista appare evidente che in questi trasferimenti ci sia qualcosa di irregolare, che i costi siano molto più alti rispetto al valore reale dei giocatori in questione. Il problema con il quale la Procura si sta scontrando e che per i club coinvolti rappresenta invece la principale arma per difendersi risiede nel criterio che stabilisca l'effettivo prezzo di un calciatore.
In passato abbiamo parlato della possibilità di introdurre un algoritmo e di quanto il calciomercato si alimenti di questo contrasto tra ambiguità e razionalità, sta però di fatto che - proprio come in qualsiasi trattativa di compravendita - è il venditore a fissare il prezzo e il compratore è libero se accettarlo e sborsare la somma o rifiutarlo e far naufragare l'affare.
Per superare quest'ostacolo, gli organi giudiziari stanno provando a imbastire un sistema il più possibile matematico che possa stabilire un valore oggettivo per un giocatore. I parametri presi in esame riguardano età, ruolo, numero di presenze e storia dei trasferimenti: criteri affidabili per il passaggio di un calciatore over 30 che passa da una squadra all'altra di Serie A, ma meno percorribili quando si parla di giovani promesse.
Prendiamo in esame il caso di Nicolò Rovella. Il centrocampista è stato acquistato nel gennaio 2021 dalla Juventus che, con l'obiettivo di bruciare la concorrenza per un giocatore con buone prospettive, ha deciso di sborsare 8 milioni di euro. Il suo trasferimento è finito sotto la lente di ingrandimento della Procura, secondo la quale l'effettivo valore del giovane ammontava all'epoca a 1 milione.
Sarebbe però lecito pensare che il Genoa considerasse Rovella l'astro nascente del calcio italiano e che presto sarebbe diventato la colonna portante del centrocampo della Nazionale. Pertanto, perché valutare il suo talento così poco? Quando si parla di calciatori bisogna tener presente anche la loro prospettiva, quanto siano futuribili. Nel 2020/21 c'erano pochi giocatori di 18 anni con le sue qualità e diversi top club di Serie A avrebbero bussato alla porta del Grifone per averlo. Perché dunque non farsi pagare di più?
Per la Giustizia sportiva si prospetta un processo molto complesso: è infatti evidente che le squadre coinvolte abbiano gonfiato in maniera spropositata i valori dei propri giovani, ma come può essere dimostrato all'interno di un mercato arbitrario come quello del players trading?
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