Pioli, Inzaghi e Allegri: così vicini, così diversi
In un contesto in cui, con proporzioni inimmaginabili, il successo appare ormai saldamente in mano a una outsider come il Napoli (outsider poiché figlia di un mercato ricco di sacrifici) diventa logico che le principali candidate al titolo si lecchino le ferite, già oggi, riflettendo sugli errori fatti e su quelli che dovranno essere i passi futuri per evitare ulteriori delusioni.
Una condizione che riflette in modo coerente la situazione dei campioni d'Italia del Milan così come quella dell'Inter e della Juventus, le società che del resto si sono spartite la vittoria in Serie A dal 2001 a oggi, con un potenziale passaggio di consegne storico a una realtà diversa (e priva del peso dei pronostici).
Non si tratta di una valutazione astratta e lontana da conseguenze pratiche ma, al contrario, di qualcosa che si rifletterà in modo concreto anche sul futuro delle panchine. La solidità o meno della posizione di Stefano Pioli, Simone Inzaghi e Massimiliano Allegri dipende dalla possibilità di raggiungere la qualificazione alla Champions League, discorso valido soprattutto come imperativo per le milanesi, ma - al di là degli obiettivi come criterio per capire cosa accadrà sulle tre panchine - è evidente quanto le tre situazioni meritino discorsi distinti, con presupposti profondamente diversi.
Credito e coerenza
Un quadro globale fatto di lati in comune e di differenze radicali, partendo ad esempio dal credito che Pioli ha saputo conquistare grazie allo Scudetto dello scorso anno e grazie al gran lavoro di valorizzazione della rosa portato a termine fin dal suo arrivo (tra lo scetticismo generale) in rossonero. Il tecnico si è dimostrato in grado di vestire i panni dell'equilibratore e del leader ideale per un gruppo giovane, con qualche pungolo virtuoso da parte di Ibrahimovic nella passata stagione e con tanti elementi scoperti o rilanciati contro ogni pronostico.
La conquista dello Scudetto, come ovvio che sia, ha alzato l'asticella in modo dirompente ma diventa oggi ingeneroso ridiscutere per intero la posizione di Pioli: difficilmente, infatti, si può individuare un profilo di allenatore così adeguato per l'attuale dimensione rossonera e per le idee del club.
Un percorso di valorizzazione di giovani talenti e di crescita sostenibile che, proprio in Pioli, ha saputo trovare una traduzione ideale sul campo: la Champions resta un imperativo, anche banalmente come vetrina agli occhi degli sponsor, ma il profilo di Pioli rimarrà comunque coerente coi piani della dirigenza, perfettamente in continuità con la politica di Cardinale (senza voler strafare o senza voler fare il passo più lungo della gamba).
La resa dei conti
Discorso ben diverso da quello che possiamo trovare in casa Inter, dove Inzaghi certamente non ha fallito ma - al contempo - dove lo Scudetto sfumato della scorsa stagione potrà senz'altro lasciare il segno come eco negativa in una realtà ritenuta già più competitiva a breve termine rispetto a quella rossonera.
In questo senso, in sostanza, un nuovo Scudetto mancato (come ormai scontato) e una clamorosa mancata qualificazione alla Champions diventerebbero un punto di non ritorno inevitabile anche per il tecnico oltre che per l'intero progetto sportivo (per i mancati introiti).
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Un ribaltone che, anche al netto del successo in Coppa Italia e in Supercoppa italiana, apparirebbe dunque inesorabile e che investirebbe anche i pezzi più pregiati della rosa rispetto a un contesto, quello rossonero, che ha già saputo rendersi sostenibile più a lungo termine (anche in virtù di un monte ingaggi ridotto rispetto a quello dell'Inter e a un approccio diverso sul mercato).
Un problema di identità
Infine, spostandosi in casa Juventus, troviamo la situazione chiaramente più delicata e da comprendere in divenire a causa delle pendenze giudiziarie del club e di tutto ciò che ne consegue. Un -15 in classifica e una bufera come quella che ha investito i bianconeri, con annesse dimissioni in blocco, destabilizzerebbero ogni ambiente e rimescolerebbero le carte in ogni contesto.
Allegri fin qui si sta rivelando l'ideale parafulmine, disposto a mettersi contro tutto e tutti per difendere la propria squadra, ma in questo caso il discorso chiave diventa quello progettuale: rinunciare ad Allegri risulterebbe deleterio in senso assoluto, anche considerandone il lungo contratto e il palmares, ma diventerebbe quasi fisiologico se il ruolo dei giovani non divenisse più "marginale" ma fosse il fondamento stesso della rosa, senza dunque poter contare su una schiera di big e di esperti.
In questo caso, più che in quello delle milanesi, non saranno tanto i risultati a spostare il discorso ma tanto dipenderà dal tipo di politica intrapresa dal club e dal tipo di mercato che sarà possibile regalare al tecnico: ancora una volta, in casa Juve, tornerà in ballo l'ormai ricorrente ricerca di un'identità definita.