Nessun guru, tanta verità: Silvio Baldini e l'epica del gruppo

Baldini e Andreazzoli
Baldini e Andreazzoli / Gabriele Maltinti/GettyImages
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La retorica vuole che i grandi traguardi siano il risultato della forza del gruppo, anche quando chiaramente o palesemente i destini sportivi si decidono sull'onda degli episodi, magari sulle giocate di un singolo più dotato degli altri, il racconto successivo dei protagonisti torna sempre a girare lì: attorno al gruppo. Siamo come una famiglia, siamo un nucleo coeso, abbiamo trovato l'amalgama: ritornelli che, talvolta, finiscono per somigliare a luoghi comuni ricorrenti, capaci di divenire credibili per mera e semplice ripetizione.

Eppure la promozione del Palermo in Serie B, con Silvio Baldini alla guida, ci riporta alla logica del gruppo come motore decisivo e lo fa fuor di retorica, rinnova realmente il senso di un simile racconto. Il lieto fine rosanero si ricollega infatti, nelle dichiarazioni di un tecnico divenuto condottiero, a tante tracce passate della storia sportiva dello stesso Baldini, anche andando oltre la sua influenza (spesso sottovalutata) sul calcio ad alti livelli, negli anni della Serie A, di Empoli e del 4-2-3-1 come virtuosa costante.

Quando un allenatore ragiona di anima, di monaci o di destino può essere facilmente additato come l'ennesimo millantatore, come uno sportivo che - intrappolato nel proprio ruolo, ritenuto troppo stretto - si autocandida alla posizione di guru, senza che nessuno lo abbia chiesto, spesso goffamente. I risultati e gli eventi, però, possono anche spegnere questa regola, possono spostare il piano: da quello della retorica a quello della sostanza.

Ci sono, cioè, messaggi che limitandosi alle parole possono apparire meramente la ruota di un pavone, soltanto un nuovo esempio di aria fritta, che trovano però una sponda necessaria nell'esperienza (nelle esperienze) e in quanto dimostrato in un passato più o meno remoto oppure prossimo. Viene spontaneo dunque ricollegarsi agli anni vissuti alla Carrarese, agli onori della cronaca per un allenatore che abbracciò una tappa in Serie C senza viverla come passo indietro e che, spingendosi oltre, decise di non percepire un ingaggio in quel frangente.

Abbracciò quella tappa, metafora non casuale: lì, in modo implicito ma poi anche espresso, Silvio Baldini ritrovò compagni di altre battaglie come Maccarone, Tavano e Marchionni, ritrovò soprattutto amici e persone legate da un sentimento di reciproca stima. Tanto da mettere anche in secondo piano la figura del professionista in quanto tale, del tecnico che ha una missione prettamente sportiva e niente più. Anche in quel momento della carriera di Baldini, dunque, il senso di certe parole altrimenti grondanti retorica divenne più concreto, si fece reale.

Diventa altrettanto evidente come, al presente, il senso dell'impresa sportiva rosanero sia ben superiore e dotato di risalto diverso rispetto al manipolo di vecchi amici pronti a ritrovarsi in campo, come fratelli. Cambia la risonanza mediatica del risultato sportivo e cambiano anche i ruoli: non più rapporti costruiti negli anni e già solidi ma, di fatto, l'urgenza di entrare nella testa di un gruppo, di dargli fiducia e quella spinta in più, necessaria per crederci fino in fondo.

Silvio Baldini
Silvio Baldini / Gabriele Maltinti/GettyImages

Una missione che si potrebbe certo ritenere compiuta anche per i semplici numeri, per la striscia positiva realizzata nel finale di stagione, per il bilancio di 9 vittorie, 6 pareggi e appena 2 sconfitte, ma che trova una spiegazione ben più fedele nelle parole rilasciate dall'allenatore a Sky per commentare la promozione dei suoi.

"Io gli ho spiegato che avremmo usato un concetto diverso, mettere l'amore in quel che si fa e nel calcio non è facile. Dove viaggiano i soldi, i furbi, dove conta solo il risultato. Azzeriamo tutto, il destino mi ha portato qua e io voglio essere un veicolo del mio destino. Sapevo che con la fede sarei riuscito a trasmettere dei messaggi a loro: l'allenamento non è un modo di fare fatica ma un modo per cercare loro stessi. Come i monaci si avvicinano alla preghiera con Dio loro possono farlo col lavoro quotidiano, nel sentirsi gruppo e nel sentirsi squadra. Senza l'emozione non avremmo potuto allenarci".

Poi però ci si sposta, ci si sposta sul rapporto con la moglie e sull'equilibrio sottile che i rapporti profondi meritano, ci si sposta sul ricordo dell'infanzia vissuta con la nonna, all'interno di quella stessa intervista partita con tutt'altro presupposto. Lo si fa, però, in perfetta coerenza e senza forzature, rendendo chiaro come il campo su cui si suda e la vita non siano poi così distanti o separati, appartenendo, per l'appunto, al medesimo destino.


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