Dal 4-2-3-1 al bosco dell'anima: Silvio Baldini, il calcio è una preghiera
"Ma Silvio Baldini chi? Quello del calcio nel culo a Di Carlo?".
Ed è così che vanno le cose: cioè tu potresti cambiare anche il mondo, potresti portare a termine titaniche imprese, ma ci sarà sempre quel momento e quel tratto che ti definirà eternamente e che riporterà tutto sulla terra. Quando poi entrano in gioco i soldi tutto prende una forma ancora diversa: "Ma chi? Quello che allena gratis la Carrarese?". Si capiscono tante cose: magari qualcuno potrebbe vederla come beneficienza, forse più di uno darà valore al lavoro commisurandolo al guadagno che se ne ricava, ma leggendo tra le righe si trova qualcosa di diverso e si scopre anche il racconto reale delle cose, spogliato dal mito del "successo" e dall'ambizione di essere un guru tirato da una parte e dall'altra a suon di proposte milionarie.
Una volta la faccenda era anche così, certo forse "guru" è una parola bella pesante ma gli ammiratori c'erano e c'era anche chi era ben disposto a investire denaro sonante per avere Silvio Baldini in panchina. Può darsi che quel qualcuno però si immaginasse uno che, una volta arricchito, si sentisse arrivato e diventasse un po' addomesticabile, un po' meno forastico e più gestibile. E se immaginava qualcosa di simile sbagliava senz'altro. Per tanti anni se ne fa una questione di moduli o di quel giocatore lì che andrebbe messo di là, magari ci si arrabbia anche per discorsi del genere e si lancia tutto per aria. A un certo punto però la faccenda cambia i connotati (e forse è qui che assume senso il discorso della Serie C e dell'allenare gratis): nel calcio e nel mestiere di allenatore due più due deve fare sempre quattro? Magari no. O l'insegnamento deve passare solo ed esclusivamente dai movimenti del giocatore in campo, dai suoi compiti sul rettangolo da gioco?
Basterebbe ascoltare Lele Adani, uno che conosce Silvio Baldini come un fratello, per capire dove spostare l'ago della bilancia in questo discorso. Partiamo dal fatto che il 4-2-3-1 varato ai tempi di Empoli sul finire degli anni '90 fosse qualcosa di rilevante, non da intendere come "rivoluzione" dal punto di vista tattico ma come dichiarazione d'intenti che (a dire dello stesso Baldini) riuscì a galvanizzare l'ambiente. Il potenziale offensivo era tale da rendere un peccato lasciar fuori qualcuno tra Cappellini, Rocchi, Marchionni e Di Natale, diventava quindi necessario che gli attaccanti trovassero la voglia di fare un lavoro diverso, chi di allargarsi e chi di rientrare. Dire "sacrificarsi" fa paura, sulla carta, ma alla fine si trattava di sposare un comune intento e di seguirlo: per questo pensare a un discorso solo tattico sarebbe parziale.
Se questa ricetta parte da lontano, e lo fa, è altrettanto chiaro come trovi la sua massima espressione nella "nuova vita" professionale di Silvio Baldini, quella sulla panchina della Carrarese a sette anni dalla fine dell'esperienza di Vicenza. Un'avventura partita anche con un legame rispetto all'altra storia, quella di Empoli, e a elementi come Marchionni, Maccarone e Tavano desiderosi di chiudere carriere importanti ritrovando proprio Silvio Baldini come ultimo allenatore. Significa di certo riconoscergli qualcosa e abbracciare un discorso ben al di là dell'inflazionata espressione di "calcio operaio": esempi di fedeltà e di amicizia che vanno al di là dell'insegnamento tattico, di quello che succede nelle ore di allenamento e nei novanta minuti di partita. Un discorso di aggregazione, di costruzione del gruppo, di comprensione degli atleti come uomini e non come macchine al servizio dello show.
Del resto, tornando a Lele Adani, dicono tanto i suoi ricordi: quella gita nel bosco, nel gelo pungente del Monte Baldo, in cui l'ex difensore (allora ventiquattrenne) comprese quanto il legame non potesse essere solo giocatore-mister, come in gioco non ci fossero solo i movimenti difensivi, l'interpretazione di questo o quel modulo. E non solo: il discorso andava anche al di là della vittoria e della sconfitta, al di là dell'ossessione di ambire al successo come ragione assoluta (e superiore a tutte le altre). Ma sono logiche capite e accettate nel mondo del calcio, ad alti livelli? La lunga lontananza di Baldini dalle panchine "importanti" e l'avventura in Serie C spiegano tanto a riguardo, danno una risposta. I riflettori si girano da altre parti, il prezzo da pagare è quello e forse non è nemmeno un male per chi vive il calcio come una preghiera, per chi non accetta la consueta legge del più forte e del più ricco destinato a sopraffare gli altri. Se quel calcio ti gira le spalle alla fine non è un grosso problema, tanto tu guardavi già da un'altra parte.