A game to play - Perché George Best era Shane MacGowan

Due Poeti, due personalità tanto distanti quanto vicine: ricordiamo il leader dei Pogues con un parallelismo calcistico.

Shane MacGowan
Shane MacGowan / Martyn Goodacre/GettyImages
facebooktwitterreddit

Se andassimo a ripescare associazioni musicali passate ed entrate nell'uso comune potremmo scoprire come George Best abbia portato e porti tutt'ora con con sé l'epiteto di "quinto Beatle", condividendo col leggendario quartetto di Liverpool l'emblematica pettinatura e lo stesso periodo di massimo splendore.

In questo senso la coincidenza potrebbe apparire già salda in sé, considerando gli anni '60 come il periodo dell'esplosione dei Fab Four e di Best (con tanto di Pallone d'Oro nel 1968 come ideale timbro) e valutando quanto quel soprannome sia entrato nell'immaginario collettivo. Non servirebbero insomma altri fili da annodare.

A game to play, gli altri capitoli:

Quinto Beatle o uno dei Pogues?

Pur sottolineando l'anima inquieta e in costante mutamento degli stessi Beatles, con tanto di cesura netta tra una prima parte e una seconda parte dei loro anni '60, dobbiamo però necessariamente sfociare nel punk per trovare una residenza musicale a Best, a maggior ragione se quel punk trova radici profonde nel folk irlandese, riuscendo ad esaltarlo e modernizzarlo con indole ribelle e anticonformista.

George Best
George Best / Express/GettyImages

Rispetto ad altri capitoli e ad altri protagonisti di questo percorso di associazioni e affinità tra calcio e musica, possiamo tracciare qui un singolo parallelismo più nitido e dirompente degli altri più nascosti tra le righe: non si tratta di numerosi fili che s'intrecciano, accumunando due biografie, ma di una singola cifra distintiva, decisamente punk - appunto - quella della tendenza inesorabile all'autodistruzione, una forma divenuta consapevole ed esplicita di sabotaggio di sé, in equilibrio precario e zoppicante tra arte e dolore, tra gloria e declino, con lo spettro di una fine prematura come fantasma con cui fare i conti.

Per certi versi potremmo partire, per assurdo, dall'esaltazione delle differenze per poi lasciar emergere i tratti in comune tra Best e Shane MacGowan, leader dei Pogues recentemente scomparso a 65 anni. Il paradosso può dunque portarci a prendere la religione come prima tappa di riferimento, come tratto al contempo di unione e di distanza radicale.

I due volti della religione

Un tratto che ci permette del resto di fare ulteriore luce sugli estremi e le contrapposizioni che hanno toccato le vite di George e di Shane, intrise di lusso e senso di perdizione ma accompagnate da riferimenti e radici intimamente spirituali (lato MacGowan) oppure da necessari intrecci religiosi/politici (divenuti ben noti a Best, come parte integrante del tessuto sociale nordirlandese).

Parliamo di una famiglia cattolica irlandese vissuta in Inghilterra, pensando a MacGowan, e parliamo del figlio di un fervente protestante di Belfast, pensando a Best: due biografie dunque in chiara contrapposizione, plasticamente poste su due parti distinte della barricata in anni più che mai violenti.

A Belfast, negli anni in cui Best cresceva e si formava, anche il calcio portava in sé i segni di una fisiologica separazione, il futuro fuoriclasse dello United era legato al Glentoran (club che poi lo scartò prima dell'approdo a Manchester poiché "troppo gracile") seguendo dunque le proprie solide radici protestanti, pur senza seguire le orme del padre Robert e senza condividerne l'attiva espressione di fede.

Al di là delle note biografiche, da ciò che era naturale nel suo quartiere e sul solco della spinta familiare, si sottolinea anche come Best abbia fatto i conti in prima persona coi contrasti e le violenze dei decenni più caldi del conflitto nordirlandese: nel '72 ricevette minacce da parte dell'IRA per il presunto sostegno del Democratic Unionist Party.

George Best, Richard Harris
Best / Evening Standard/GettyImages

Differenti ma ugualmente presenti le impronte della religione sulla biografia e sulla musica di MacGowan, non come istanza di natura politica e sociale ma come riflesso familiare e come rifugio nei momenti di estrema fragilità, aspetto riscontrabile nei testi delle canzoni dei suoi Pogues così come nel racconto offerto nella biografia "A Furious Devotion: The Life of Shane MacGowan" (Richard Balls, 2021).

Un MacGowan tanto apparentemente distante dalle istanze religiose, in senso dogmatico, che però portava con sé e nelle proprie canzoni un immaginario intriso del cattolicesimo in cui era cresciuto. "Sarei potuto essere un prete se non fossi stato un cantante", ha ammesso MacGowan al proprio biografo, ammettendo così esplicitamente il peso della religione cattolica nella propria esistenza.

Una fiamma che si spegne

Un aspetto - quello della religione - che si può ricollegare ad un altro filo conduttore, quello della pietà e di una sorta di "conversione" (o meglio di inversione consapevole) rispetto alle stesse cause di oblio e autodistruzione divenute negli anni troppo ingombranti. Vale in questo caso per Best come per MacGowan, il tutto può essere sintetizzato del resto in quel titolo di giornale che accompagnò gli ultimi giorni del fuoriclasse nordirlandese: "Don't die like me", non morite come me.

Barclaycard British Summer Time Concert, Hyde Park, London, Britain - 05 Jul 2014
MacGowan nel 2014 / Brian Rasic/GettyImages

Dall'ostentazione incontrollata di un dato stile di vita, come emblema consegnato ai posteri, alla presa di coscienza delle conseguenze sulla propria salute, sulla propria vita e sul proprio lavoro. Da un lato dunque Best e il suo declino precoce, con l'addio nel '74 a un Manchester United scivolato nella mediocrità, con tutto ciò che viveva fuori dal campo (donne, alcol e automobili, come da nota citazione) a spostare la bussola di un fuoriclasse. E poi MacGowan allontanato dai suoi Pogues agli albori degli anni '90: ancora vuoti di memoria, concerti impossibili da mandare avanti, parole che somigliano più a singhiozzi, continui ritardi.

Potremmo dunque ripiegarci sul "lato oscuro" di due vite, su ciò che poi ha condotto la fiamma a spegnersi lentamente, fino alla fine, ma è proprio nella natura irrimediabilmente punk che il binomio MacGowan-Best trova la propria scintilla, la propria definizione comune. Il punk come punto di rottura rispetto a un mondo musicale imborghesito e inquadrato, come volontà di messaggi più diretti, oppure il punk come fantasia e dribbling, come variabile impazzita all'interno del calcio inglese, una ventata di aria fresca portata da un giovane nordirlandese capace di rompere le regole e le gerarchie grazie al proprio talento.

Due Poeti, il Poeta del gol spesso schiavo della propria immagine e della propria stessa autodistruzione (come distrazione rispetto al richiamo del talento) e un cantautore che affondava il proprio universo nell'Irlanda profonda, fantasma inesorabile che portava con sé in ogni nota e in ogni testo.