Un portiere che sappia giocare: esigenza di modernità o moda deleteria?

Ospina e Meret
Ospina e Meret / KONTROLAB/GettyImages
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L'evoluzione del calcio è rappresentata in modo piuttosto efficace, persino schematico, dalla maniera in cui certi ossimori, certe contraddizioni in termini, diventano col tempo dei concetti compiuti e dotati di un loro filo logico. Concetti che, insomma, non ci fanno più trasalire.

Ci troviamo, in particolare dal 1992 per questioni regolamentari (divieto di raccogliere i retropassaggi con le mani) ma anche successivamente per quel che concerne la tattica, a ragionare di un essere dai tratti simil-mitologici, quel "portiere che sappia giocare" di cui Luciano Spalletti è tornato di recente a parlare, con dichiarazioni che indicano in maniera per niente timida la direzione da prendere.

"Tutte le volte sento dire che il portiere non deve saper costruire ma deve saper parare, questa roba va messa a posto. S'è durato anni a dire così, è un messaggio sbagliato che si dà ai giovani e al calcio. Lo sbocco è che il portiere faccia il centrocampista aggiunto, in futuro andrà a giocare fuori dalla lunetta, sarà così, nessuno vuole un portiere che non sappia giocare coi piedi. Poi è giusto che sappia anche parare, ma per un gol preso per un errore partendo dal basso ci sono dieci gol fatti perché cominciamo bene l'azione"

Luciano Spalletti a Sky Sport

Parole, quelle di Spalletti, che presentano una duplice valenza: da un lato ci suggeriscono le attese del tecnico di Certaldo, e le pressioni, nei confronti di quello che sarà il portiere titolare del Napoli 2022/23 ma, ancor di più, ci permettono di infilarci nuovamente nella diatriba tra visionari e pragmatici, tra esteti e i presunti "risultatisti" (ammesso che significhi realmente qualcosa).

Luciano Spalletti
Luciano Spalletti / SOPA Images/GettyImages

Un ruolo, più missioni

Da una parte della barricata, a grandi linee, possiamo trovare chi ritiene vitale il ruolo del portiere in fase di costruzione e chi ne sottolinea l'importanza come elemento attivo della squadra, con le necessarie doti di palleggio del caso: una visione che Spalletti ha indicato come moderna, come di fatto l'unica possibile nel 2022, aprendo anche a prospettive ulteriori e futuristiche, immaginando un portiere sempre più audace nell'alzarsi, sempre più dentro le logiche di una squadra. Dall'altra parte, come richiamo opposto, abbiamo chi sottolinea con forza che "un portiere deve saper parare", senza dunque aspettarsi lanci millimetrici, lucide letture dell'azione in fase di possesso e visione di gioco da vero regista arretrato.

Marc-André ter Stegen
Ter Stegen / Mark Kolbe/GettyImages

Ridurre l'appello di Spalletti a un mero richiamo figlio dei tempi sarebbe riduttivo e poco generoso rispetto alla stessa storia sportiva del tecnico, oltre che miope rispetto a quel che effettivamente si può vedere in campo. L'aspetto potenzialmente deleterio e più meramente modaiolo risiede nella ricerca ossessiva della costruzione dal basso senza, ad accompagnare, un evoluzione concettuale di quel che un portiere può e deve essere all'interno di una squadra: sarebbe suicida, in sostanza, farne solo un discorso di tecnica o di abilità balistiche, senza distribuire su tutto il gruppo questa nuova consapevolezza a cui Spalletti rimanda. Senza condividerne la responsabilità.

In un certo senso torna valido il discorso di Vincenzo Italiano, percorso fin dagli albori della sua carriera di allenatore: la necessità di non stabilire a priori chi sia l'incaricato di costruire gioco e l'ambizione di essere "tutti registi" (ovviamente senza pretendere che, a livello tecnico, ogni giocatore abbia tutte le peculiarità necessarie). Si tratta di un discorso di approccio e di mentalità oltre che di tecnica, un approccio che evidentemente non tutti i portieri (e non tutte le squadre) riescono ad assorbire con la stessa efficacia.

Vincenzo Italiano, Luciano Spalletti
Italiano e Spalletti / Francesco Pecoraro/GettyImages

Un'evoluzione naturale

Il concetto chiave è dunque quello della responsabilità: non è solo il portiere a essere più o meno abile coi piedi ma, ancor di più, è il collettivo a doversi reinventare in quel senso. Il tutto senza poter eludere, ma questo implicitamente appartiene anche ai propositi di Spalletti, la sicurezza e la fiducia che un portiere sicuro e granitico nei suoi fondamentali di base sa dare a una difesa. Non si tratta insomma di una logica in cui, realmente, si scontrano due scuole di pensiero ma - a conti fatti - di un naturale discorso di "evoluzione" e di principi, senza poter dunque prescindere da uno o dall'altro lato della medaglia.

Il tutto mantenendo sempre presente quanto contino presupposti mentali e di scelta con cui il portiere ha sempre dovuto misurarsi: decidere se servire il compagno più vicino o andare in profondità, cavarsela col piede debole, resistere se pressato e capire come uscire da situazioni potenzialmente rischiose senza per forza buttar via il pallone. Nulla di rivoluzionario insomma, almeno in partenza, ma qualcosa che - senz'altro - varrà la pena perfezionare e rendere più sistematico nel prossimo futuro, in maniera anche naturale.


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