Un inizio da 9: Abraham, Giroud e le virtù benefiche del low profile
Quella che rischia di restare negli annali come l'estate degli addii, con una Serie A alle prese con un esodo non tanto numerico quanto qualitativo, ci costringe ad aguzzare la vista e a superare la prima apparenza, provando a tener vivo l'inciso secondo cui non tutti i mali verrebbero per nuocere. Difficile pensarlo dopo aver perso Cristiano Ronaldo, Lukaku, Hakimi, Donnarumma e De Paul in un colpo solo ma, d'altro canto, arriva il momento in cui ci si pone davanti a quel che resta e si prova a trarne il meglio. E qualcosa, dopo la prima cortina di fumo, c'è eccome.
Nuove stelle cercasi
La volontà di scoprire le opportunità nelle crisi può suonare come una formale pacca sulla spalla, neanche troppo convinta essendo consapevoli di quel che si è perso, ma è indubbio il fatto che la Serie A, all'alba della stagione 2021/22, sia chiamata a scoprire ed eleggere le sue "nuove stelle" e a capire su quali capisaldi potrà poggiarsi, a breve termine ma anche oltre. Se elementi del calibro di Lautaro Martinez e Dusan Vlahovic, già noti al nostro pubblico, potrebbero rivelarsi un domani i protagonisti di un nuovo e malinconico esodo è pur vero che qualcuno è arrivato e lo ha fatto senza troppi clamori o fanfare. Due arrivi in qualche modo intrecciati da un filo, da un destino affine: entrambi arrivati in Italia da Londra, entrambi dal Chelsea e, soprattutto, tutti e due a caccia di un ruolo più centrale rispetto a quanto stesse accadendo agli ordini di Tuchel. Le storie di Olivier Giroud e Tammy Abraham, dunque, s'intrecciano felicemente con la ricerca italiana di nuovi idoli e lo fanno partendo in silenzio o, peggio, sotto il peso di qualche borbottio.
Low profile e mugugni
Per ragioni diverse, per certi versi anche logiche, l'accoglienza mediatica (ancor prima che di tifo) non è stata enfatica per Giroud come per Abraham al momento degli acquisti messi a segno da Milan e Roma. Da un lato i rossoneri, nell'estate degli addii a zero di Donnarumma e Calhanoglu, si aspettavano forse un colpo dal nome altisonante e in grado di spostare gli equilibri, un colpo diverso da chi è arrivato con l'etichetta un po' svilente del "vice Ibra", dell'esperto specialista dei gol in Coppa, con poche reti riservate al campionato e una doppia cifra affatto scontata (16/17 l'ultima volta, con 12 gol in Premier). Dall'altra parte un giocatore, Abraham, forte di una sola stagione da grande protagonista in Premier League (2019/20 con Lampard) e alle prese con un'annata 2020/21 certo non esaltante, con 6 gol, 2 assist e un impiego discontinuo agli ordini di Tuchel. Un classe '97 con un bottino ancora limitato di reti in massima serie, insomma, chiamato a sostituire il terzo marcatore di sempre della Roma tra le varie competizioni, quell'Edin Dzeko volato nella Milano nerazzurra per sostituire Lukaku (passato proprio al Chelsea).
Una maledizione sbiadita
Il rapporto tra il calcio e le "maledizioni" è sempre prodigo di curiosità e tradizioni che si rinnovano, tra scaramanzia e riti propiziatori: quella del numero 9 del Milan post-Inzaghi è ormai nota in Italia e trova inesorabilmente nuovi coraggiosi pronti a sfidarla senza successo, anche nomi di primo piano come Fernando Torres e Higuain. Giroud ha scelto di unirsi alla schiera, sottolineando di non essere scaramantico, e con grande personalità ha affrontato a viso aperto gli scherzi che il destino spesso ha giocato ai suoi colleghi. Fin qui un atteggiamento che ha pagato: la Milano rossonera ha già scoperto quanto l'etichetta di mero vice-Ibra fosse stretta e riduttiva, quanto l'esperienza di Giroud possa davvero replicare e amplificare l'"effetto Ibrahimovic" su un gruppo giovane e dai margini di crescita importanti. I gol firmano l'idillio e mettono il timbro ma le giocate di sponda e il dialogo coi compagni, vedi il tacco a lanciare Leao in avvio col Cagliari, rappresentano un valore aggiunto e tramutano lo scetticismo di alcuni in un abbraccio festoso.
Roma-Abraham e il cupido Mou
Situazione ancor più sorprendente, per certi versi, pensando a Tammy Abraham, voluto da Mourinho e lanciato con fiducia dal primo minuto già contro la Fiorentina nella prima giornata, a pochi giorni dal suo arrivo in gruppo. In questo caso il ruolo giocato da Mourinho appare centrale, sia nell'avvicinamento al giocatore (spesso esaltato dal portoghese parlando delle cose di casa Chelsea) sia nella voglia di gettarlo nella mischia senza tergiversare. Evidentemente lo Special One sapeva bene con chi avesse a che fare, quanto il 1997 sulla carta d'identità non fosse coerente con la personalità e la carica da leader palesate all'Olimpico. Da lì in poi due assist, due legni e il tanto atteso gol nel 4-0 con la Salernitana: anche qui, come nel caso di Giroud, il gol è una parte del tutto, la parte più visibile che non offusca però un insieme fatto di giocate, spirito da condottiero e un ambientamento sorprendente in una nuova realtà.
Basso profilo e perplessità che si tramutano insomma in applausi, qualche seme incoraggiante per scoprire nuove stelle, non vivere di rimpianti e di ricordi di una grandezza sbiadita.