Tutto il peso della Juve su Allegri: un nome solo non corregge mai il futuro

La dirigenza bianconera
La dirigenza bianconera / MARCO BERTORELLO/GettyImages
facebooktwitterreddit

In tempi di soluzioni semplici, in momenti in cui la rapidità si riflette come esigenza assoluta su ogni settore del quotidiano, diventa logico che - di fronte a una crisi - il clamore e le attenzioni ruotino tutte attorno al singolo nome, alle ricette rivoluzionarie in grado, con un colpo di spugna, di cambiare le sorti di una stagione, di ribaltare persino i destini di un movimento politico.

In una sorta di parallelismo poggiato sulla base di esiti infelici potremmo riconnettere certi vizi, trovare un filo conduttore che lega mondi separati, potremmo insomma renderci conto di come il desiderio di una ricetta che dia l'illusione di essere immediata percorra più terreni diversi, mondi lontani tra loro. Massimiliano Allegri sta alla Juventus come Enrico Letta sta al Partito Democratico? Per assurdo, sì.

Massimiliano Allegri
Max Allegri / Stefano Guidi/GettyImages

Chi siamo? Dove dobbiamo andare?

Il ritorno del figliol prodigo per ridare spinta e superare la crisi, un iniziale idillio ritrovato e poi, nell'arco di qualche mese, la trasformazione da cura a malattia, da intervento provvidenziale a sciagura cosmica. E poi, irrimediabilmente, un nuovo ribaltone come soluzione necessaria, come panacea invocata dal popolo per rimettere in riga una situazione che pare ormai deragliata, fuori controllo. Mondi distanti, si diceva, paragoni azzardati condotti su linee parallele, tracce però di similitudini e di contatto nel percorso così come nel potenziale epilogo.

Complesso, senz'altro, paragonare le responsabilità e il ruolo di un segretario di partito a quelle di un allenatore ma - permettendoci l'azzardo - possiamo scoprire come in entrambi i casi trionfi un malinteso: cambiando un nome, insomma, ci s'immagina che cambi tutto il resto. Un'idea che nasce seguendo l'infinita voglia di semplificazione, che certo aiuta, un desiderio che tiene alla larga una riflessione più profonda, che scaccia dalla mente un fantasma. Il punto - si può qui decidere a quale dei due mondi ci si rivolga - è realizzare e accettare fino in fondo il senso di una crisi d'identità, di non giocarci più a nascondino.

Andrea Agnelli
Agnelli, PSG-Juve / Jonathan Moscrop/GettyImages

A che serve cambiare guida se non si conosce, cioè, la direzione finale? Uscendo dallo scomodo accostamento, confinandoci cioè nel solo pallone, possiamo facilmente ripercorrere l'andamento profondamente ondivago e contraddittorio delle cose bianconere negli ultimi anni. A partire dal desiderio di un "gioco più europeo" inseguito con Sarri, al ritorno del "vincere come unica cosa che conta", dall'auspicio di abbassare il monte ingaggi e di puntare sui giovani italiani all'ingaggio a parametro zero di pesi massimi come Pogba e Di Maria.

Dall'innamoramento perpetuo per questo o quel giocatore fino alla capacità (rara) di salire e scendere da quello stesso carro, domenica dopo domenica (o martedì dopo martedì, pensando alle coppe europee). Oppure le voci dissonanti tra loro che percorrono, almeno nel racconto mediatico, i piani più alti della dirigenza. Schegge partite in direzioni diverse, dichiarazioni d'intenti tutte valide e intriganti ma destinate, inevitabilmente, a cozzare tra loro, a condurre a un'implosione senza una visione d'insieme coerente.

FBL-US-JUVENTUS
Juve 2022/23 / FREDERIC J. BROWN/GettyImages

Le derive estreme di un momento

Una situazione capace persino di sconfinare nel grottesco, non tanto nelle tendenze social (il famigerato #AllegriOut) quanto nella voglia di avventurarsi in lidi tanto improbabili quanto fini a loro stessi. L'edizione odierna di Tuttosport passa in rassegna gli allenatori liberi, quelli potenzialmente a disposizione, e arriva a tirare in ballo anche Cesare Prandelli.

Il punto qui non è capire se - volendo seguire percorsi immaginari - Prandelli sia adesso "un tecnico da Juve" o meno, il punto è rendersi conto che per assurdo si ipotizza il ricorso a un uomo che ha dichiaratamente preso le distanze dal calcio (per ragioni su cui ci soffermeremo), arrivando a ritenerlo comunque una soluzione credibile rispetto a Massimiliano Allegri.

Prandelli si è allontanato dal calcio, appunto, e lo ha fatto per un carico di pressioni e di tensioni (vissute nel ritorno in viola) incompatibili con una qualità della vita accettabile, per un distacco profondo tra il sogno di ricongiungersi con una squadra che rese grande e la realtà, ben più malinconica, di una squadra che arrancava sul piano del gioco e dei risultati, in un contesto (non solo calcistico) profondamente lontano da quei suoi anni d'oro. Immaginiamo una presa di posizione simile, insomma, accostata all'attualità bianconera, a uno scenario mediatico schizofrenico e a tifosi tutt'altro che sereni: potremmo ricavarne uno scenario realistico, un percorso credibile?

FBL-ITA-SERIEA-FIORENTINA-AC MILAN
Prandelli / TIZIANA FABI/GettyImages

Chiaramente l'esercizio di Tuttosport non si lega alla validità o meno di questo o quel nome in ottica bianconera, è una mera rappresentazione di cosa offra attualmente il panorama degli allenatori a disposizione, ma è altrettanto palese che ogni ragionamento sui nomi sia deleterio e superficiale senza, a monte, una chiara e definita strategia a lungo termine legata al mercato, al monte ingaggi, all'età media, all'intenzione o meno di puntare sui giovani italiani, alla volontà o meno di pensare al "bel gioco" (qualsiasi cosa esso sia). Solo con le idee chiare, insomma, potrà aver senso mettersi a sfogliare la margherita, far partire il gioco dei nomi, e capire sì - a quel punto - quale sarà l'uomo giusto su cui puntare.