Il triangolo di amore-odio tra Ganz, Inter e Milan

Maurizio Ganz
Maurizio Ganz / Claudio Villa/ Grazia Neri/GettyImages
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Siamo abituati a ripeterci nella testa ritornelli tanto insistenti da togliere spazio per realtà alternative, a convincerci per abitudine che qualcosa sia inesorabile e granitico: spontaneo per tanti associare il concetto di tradimento calcistico all'attualità, pensare a Donnarumma che posa con la maglia del PSG o a Calhanoglu che sveste una maglia senza cambiare città, si perde così di vista un percorso ben più lontano e radicato nella memoria che ci parla, ancora una volta, del tradimento associato al pallone.

Un tradimento percepito più che effettivo, come in una coppia in cui uno solo dei due pensa sul serio di stare insieme e l'altro banalmente lo ignora e riflette più che altro su come poter crescere come individuo: e proprio così, guardandolo da lontano, potrebbe suonare il triangolo di amore-odio che collega Maurizio Ganz, l'Inter e il Milan.

Non fu la prima volta

Volendo andare a ritroso, per riscoprire come i cambi di maglia traumatici e memorabili non siano faccenda di oggi, ci rendiamo conto di quanto occorra scavare: scopriamo così che per Maurizio Ganz l'idea di passare da un club al suo contrario sportivo, alla nemesi del suo presente, era una sorta di vizietto già percorso, a pochi chilometri di distanza. Ben prima di quel dicembre 1997 che sancì il passaggio dell'Inter al Milan, infatti, Ganz si rese protagonista di un altro ribaltone potenzialmente indigesto: la scalata per tornare in A (dopo qualche sporadica apparizione giovanile nella Samp) passò proprio da un passaggio micidiale da Brescia a Bergamo, dalle Rondinelle che lo avevano visto capocannoniere in B alla Dea di Marcello Lippi, settima e sorprendente in campionato.

Un tradimento col lieto fine per un professionista che, fin da piccolo, vedeva nel calcio una ragione di vita a cui restare aggrappato, un sogno da inseguire senza vacillare: la stagione 1992/93 fu infatti la migliore per Ganz a livello realizzativo in Serie A, con 14 gol, una cifra mai più raggiunta se non tra i cadetti due anni dopo.

Ganz
Ganz in Atalanta-Brescia / Grazia Neri/GettyImages

Chi tradisce chi?

Ripensare al passaggio Brescia-Bergamo aiuta del resto a capire quanto, nella definizione della carriera di Ganz, abbia sempre prevalso una sana e sportiva voglia di trovare spazio: un po' come se il suo senso del gol, quintessenza del suo essere calciatore, si riflettesse poi nella ricerca della piazza che più di altre poteva dargli fiducia, poteva dargli modo di segnare. Potremmo poi riflettere sul senso di un tradimento: lo stesso Ganz del resto avrà vissuto come tale quanto accaduto all'Inter, con un minutaggio sempre più risicato e un ruolo, più defilato a destra, non certo conforme alle sue caratteristiche da rapace dell'area di rigore.

Un fantasma chiamato Luis Nazario da Lima, al secolo Ronaldo, si rivelò troppo insidioso e insuperabile, tanto da condurre Ganz a maturare l'idea di lasciare l'Inter dopo aver segnato tanto in nerazzurro, in Italia come in Europa (ben 8 i gol in Coppa Uefa 1996/97). In sostanza, provando a immedesimarsi nel calciatore, la scelta di trasferirsi sull'altra sponda di Milano partiva come reazione rispetto a un torto subito e a una fiducia divenuta vacillante, non dunque come provocazione sorta dal nulla. Lui, di fatto, si sarà sentito tradito e non traditore.

Maurizio Ganz
Ganz esulta in nerazzurro / Claudio Villa/ Grazia Neri/GettyImages

Milano-Lecce: biasimo e Scudetto

A rendere meno forte e inesorabile il senso del tradimento c'è poi la scelta che Ganz si trovò a dover compiere nell'inverno del 1997, per proseguire la propria carriera: da una parte c'era il Lecce a caccia della salvezza, traguardo poi non raggiunto a fine stagione, dall'altro lato tra le pretendenti spiccava un Milan che certo sul campo non esaltava (ricco di nuovi acquisti a ancora poco squadra) ma che dalla sua aveva il prestigio del nome e le ambizioni.

Diventa dunque complicato biasimare fino in fondo il giocatore, nella sua scelta: torna in ballo il professionista intenzionato, prima di tutto, a capire dove poter esaltare al meglio le proprie doti e dove poter ritrovare spazio e motivazioni. Come nel caso del passaggio Brescia-Bergamo, del resto, il finale fu tutt'altro che da dimenticare: nella stagione 1998/99, infatti, Ganz riuscì a partecipare a pieno titolo alla festa Scudetto del Milan, dando un contributo importante nella fase decisiva della stagione agli ordini di Zaccheroni. Il ruolo di alternativa a Bierhoff e Weah non risultò dunque un limite: da febbraio a maggio Ganz collezionò 3 gol e 2 assist fondamentali, finendo nuovamente per prendersi la ragione (a posteriori) dopo un cambio di maglia sulla carta pericoloso.

Tutto in una notte

Se le scelte professionali appaiono dunque dotate di una loro logica è chiaro che esistano ragioni anche viscerali, meno razionali, per spiegare la sensazione di esser stati traditi: il derby di Coppa Italia tra Inter e Milan andato in scena il 7 gennaio '98, terza apparizione di Ganz da neo-rossonero, vide imporsi per 5-0 il Diavolo e vide andare a segno proprio l'attaccante fresco di arrivo alla corte di Capello. Un gol e un'esultanza che, anche a dire dello stesso Ganz, hanno senz'altro contribuito ad amplificare nei tifosi nerazzurri l'idea di aver subito una pugnalata, di esser stati feriti anche al di là del comprensibile desiderio di affermarsi individualmente.

"Nicola un grazie infinito, per Ganz una fine da pentito" si leggeva sugli spalti di San Siro, con una distanza tracciata dai tifosi tra Berti (passato al Tottenham) e lo stesso Ganz. Non solo: quella sera non erano soltanto gli occhi dei tifosi a trasmettere un senso di rancore, ad apparire traditi come prevedibile, ma anche lo sguardo degli ex compagni di squadra offriva uno scenario simile. Sguardi pesanti, per un distacco capace di durare nel tempo, tanto da aggiungere la ricerca del perdono a una storia fatta di gol e corse a braccia aperte.


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