The Szczesny Show: come rifuggire dai luoghi comuni col sorriso sulla faccia
Un ruolo tra tanti trova spesso nella solitudine il suo tratto distintivo, ci sono questioni pratiche e di regolamento che stabiliscono che sia così: il portiere è un uomo più solo degli altri, ha regole sue, un modo diverso di vivere la partita e di vederla. Ci sono sfide vissute tutte da lontano, coi compagni riversati nell'area avversaria all'assalto, ci sono momenti di affanno in cui è proprio lui a dover tenere su la baracca, diventando eroe o vittima sacrificale.
Ce lo possiamo immaginare risoluto, talvolta ombroso ma di certo carismatico, fuori da quel caos e dal sudore di chi corre in mezzo al campo. Qui poi potremmo pensare a Zoff, come emblema o stereotipo storico, ma come sempre è nelle eccezioni che si trova quel valore aggiunto: Wojciech Szczesny è anche questo, un'eccezione. Come il bassista che diventa il frontman di una band, più in vista del cantante o del chitarrista, e inizia ad attirare l'attenzione di chi i bassisti non sapeva neanche che esistessero e che scopo avessero. Lo stesso portiere della Juve ha tenuto a sottolineare di recente, in un'intervista extra campo, "non sono un artista ma un portiere", come a voler mettere le mani avanti. Eppure, pur non volendolo ammettere, appartiene a quella schiera piuttosto scarna di calciatori che - con la testa - osano un po' di più.
Non si tratta solo di essere sopra le righe, teste calde o provocatori, quello lo possono fare tutti. Il discorso è diverso, e la rarità sta lì: in un mondo patinato, ricco e carico di pressioni esiste la possibilità per azzardare, per non prendersi troppo sul serio e per non restare intrappolati nel proprio ego rigonfio di fama e di denaro? Szczesny ci suggerisce di sì. Lo fa con il sorriso ma anche con una verve e una tendenza comica che si guarda bene dal censurare. Come quella volta che, durante una conferenza stampa del CT della Polonia, il portiere si confuse tra i giornalisti prendendo poi la parola: "Krychowiak è rientrato dopo un po' di tempo, ma non è il caso di prendere provvedimenti per quanto si veste male?". Il tutto con un Lewandowski che, con esiti alterni, provava a trattenere una risata.
Oppure The Szczesny Show, ai tempi della Roma: un tentativo insolito e apprezzabile di mettere in scena (sui social) il rapporto tra compagni, svestendo per pochi minuti i panni del portiere per diventare un conduttore di talk show e allontanarsi da quella ritualità fatta da "Sono a disposizione del mister", "Vogliamo pensare partita per partita" e altri noti tormentoni calcistici che raccontano poco o nulla. E poi la storia con le sigarette come filo conduttore, certo poco virtuoso per uno sportivo ma dai tratti in questo caso leggeri: da quelle sigarette negli spogliatoi dell'Arsenal, fumate di nascosto da Wenger che una volta lo colse in flagrante, alla sigaretta allungata a Maurizio Sarri in un post-partita. "Te la sei meritata", disse il portiere al suo mister, strappandogli un sorriso.
Aneddoti e storielle, momenti sparsi lungo una carriera che tracciano la storia di un atleta mai schiavo del suo ruolo, a livello formale, disposto cioè a mettersi in gioco e a portare con sé (in questo gioco) compagni e addetti ai lavori. Uno spirito che, pensando soprattutto al contesto italiano spesso serioso e schiacciato sotto le pressioni e la polemica perpetua, è una vera boccata d'aria fresca.
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