La storia dei mille addii e dei gol relativi: Dzeko e le sirene a strisce

Dzeko e Mancini
Dzeko e Mancini / Gualter Fatia/Getty Images
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Quando un addio si consuma tiepido e non scatena burrasche e scossoni può significare due cose, almeno due: o non c'è niente per cui davvero strapparsi i capelli o, dall'altra parte, i cocci presi e tenuti insieme nel corso degli anni hanno finito per spostare le valutazioni, per alterare la percezione, lasciando strada all'insofferenza. E poco, come il calcio nell'estate del 2021, riesce a esaltare il senso di relatività e di ambiguità degli eventi: è l'estate del PSG che si gonfia a dismisura spendendo niente per il cartellino di Donnarumma, Messi e Wijnaldum, l'estate delle lacrime di chi sa che andrà a percepire 35 milioni a stagione, dell'Inter campione d'Italia che perde pezzi, uno dopo l'altro, per poter riprendere respiro.

Giorni di contrasti e paradossi che trovano un'altra storia, un'ulteriore tappa all'insegna della relatività, nell'addio di Edin Dzeko alla Roma. Ci risiamo, penseranno alcuni, l'ennesima rottura ricucita, l'ennesimo strappo fasullo poi rientrato con la diplomazia e il buon senso. Stavolta no: il terzo miglior marcatore di sempre della Roma, tra tutte le competizioni, segue davvero il suono ammaliante delle sirene a strisce (stavolta a pelle di serpente, ma sempre strisce) e non trova lacrime dall'altra parte, giri di campo commossi o conferenze all'insegna della reciproca riconoscenza. 119 gol in 260 presenze, alle spalle solo di Totti e di Pruzzo, una fascia di capitano portata al braccio ma, al contempo, ruggini, addii stoppati sull'uscio di casa quando tutto sembrava compiuto, veleni ormai usciti e difficili da curare.

Edin Dzeko, Antonio Conte
Conte e Dzeko / Silvia Lore/Getty Images

Effetto Conte

Il richiamo delle strisce dunque, del nord calcistico che significa Scudetto ormai inesorabilmente dal 2001 (proprio l'anno della Roma). Un corteggiamento che ha avuto nome e volto, quelli di Antonio Conte, tanto da arrivare nel 2019 a una prima edizione, poi sfumata, di quel che invece si sta compiendo proprio oggi. Ma la storia parte ancor prima e, guarda un po', parte proprio da quel Chelsea che oggi entra a gamba tesa nelle sorti di Inter e Roma col famigerato triangolo di attaccanti Lukaku-Dzeko-Abraham. Nel mercato invernale del 2018 andò insomma in scena la prima tappa di questa storia fatta di partenze stoppate all'ultimo momento, col biglietto fatto e coi bagagli pronti: proprio Conte vedeva in Dzeko un rinforzo chiave per il suo Chelsea, economicamente la situazione sembrava del tutto apparecchiata e sistemata per un volo verso Londra e verso la Premier League, accompagnando di fatto Emerson Palmieri nello stesso tragitto.

Le cifre in ballo per il potenziale doppio colpo erano da far tremare le gambe, 50 milioni di euro, una situazione del tutto diversa dai potenziali addii che nei due anni successivi si sono susseguiti. E la prospettiva fu diametralmente opposta rispetto a quanto sarebbe accaduto poi: il giocatore disse di no, scelse di restare alla Roma e di non abbandonare la squadra ancora in corsa in Champions League, con l'intenzione (ripagata) di vivere notti importanti nella principale competizione europea. L'arrivo di Antonio Conte all'Inter, nell'estate del 2019, rese nuovamente attuale l'idillio: il tecnico continuava a sognare Dzeko nella sua squadra, a più di un anno di distanza dal mancato approdo al Chelsea, e stavolta il nodo risiedeva altrove. Il bosniaco ricambiava infatti il corteggiamento di Conte, voleva a sua volta l'Inter, ma a differenza di quanto accadde nel 2018 col Chelsea l'offerta per il cartellino non incontrava il gradimento giallorosso. Il bosniaco sembrava già sintonizzato su Appiano, con Trigoria alle spalle, ma riuscì a rientrare nei ranghi e a mettersi al servizio di Fonseca, sancendo anche il sorprendente rinnovo fino al 2022.

Edin Dzeko, Radja Nainggolan, Kevin Strootman
Dzeko avvia la rimonta col Barcellona / Jean Catuffe/Getty Images

Inter-Juve andata e ritorno

Non solo Inter e non solo Conte però: il più recente degli addii apparsi a un passo e poi rientrati è in bianco e nero, con la Juventus che alla vigilia della stagione 2020/21 stava per mettere Dzeko a disposizione di Pirlo come rinforzo di qualità ed esperienza nel reparto avanzato. I bianconeri virarono poi su Alvaro Morata e sul suo ritorno alla Continassa, con Dzeko che per l'ennesima volta riaprì le valigie per disfarle e per affrontare una nuova stagione alla Roma, la sesta e la più delicata. Il nodo, in questo caso, riguardò il domino non riuscito che avrebbe dovuto portare Milik nella Capitale prima di liberare definitivamente Dzeko in direzione Torino: un affare che non si concluse per ragioni indicate inizialmente nelle condizioni fisiche del giocatore, dopo le visite, ma poi più verosimilmente connesse a pendenze di natura economico-burocratica col Napoli, tali da compromettere la riuscita dell'affare con la Roma a un passo dal traguardo.

Paulo Fonseca, Edin Dzeko
Dzeko e Fonseca / Silvia Lore/Getty Images

Il doppio caso Fonseca

Il primo caso riguarda la gestione della mancata cessione alla Juventus, con Fonseca pronto a convocare Dzeko a sorpresa per la trasferta di Verona salvo poi lasciarlo in panchina per novanta minuti, senza dunque utilizzarlo. In quel caso il tecnico portoghese spiegò di aver preservato il giocatore: una scelta che si legava senz'altro alle voci di mercato, col passaggio alla Juve visto come imminente e poi di fatto saltato per via del mancato arrivo di Milik in giallorosso. Il caso vero e proprio però è quello esploso successivamente, nel gennaio del 2021, dopo il pasticcio delle sei sostituzioni in Coppa Italia contro lo Spezia con tanto di contrasti tra il bosniaco e un membro dello staff di Fonseca. Via la fascia di capitano e Dzeko out contro Spezia e Verona, non convocato, per poi rientrare solo nel finale delle tre successive partite, partendo dalla panchina. Anche in quel frangente l'addio tornò in ballo come ipotesi verosimile ma, tra mille voci e altrettanti silenzi di Fonseca su quanto fosse accaduto, la situazione rientrò ancora una volta.

Jose Mourinho, Edin Dzeko
Con Mourinho / Gualter Fatia/Getty Images

L'ultimo atto

L'arrivo di José Mourinho in panchina al posto di Fonseca sembrava il timbro sulla possibile permanenza di Dzeko almeno per un'altra stagione, quella che sarebbe dovuta essere la stagione del riscatto dopo un'annata segnata dalle voci di mercato e dalle polemiche interne. Niente di più lontano dalla realtà, e siamo alla storia dei nostri giorni, con l'ennesimo ritorno di fiamma da Milano (senza Conte di mezzo) e con l'effettivo arrivo nel capoluogo lombardo per firmare il contratto che, stavolta davvero, sancirà la fine dell'avventura alla Roma, tra tanti gol, altrettante nottate magiche e qualche veleno di troppo a corrompere l'addio.


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