Special One 2.0: il Mourinho di Roma, le tappe di una metamorfosi

José Mourinho
José Mourinho / Fran Santiago/Getty Images
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L'esercizio del paragone è spesso e volentieri quello più spontaneo e diretto, non appena si osserva un evento viene naturale riportare alla mente qualcosa di affine, per motivi più o meno oggettivi oppure personali. La forza evocativa del calcio, non solo nei suoi gesti tecnici, permette eccome di percorrere la strada del ricordo e dell'accostamento, talvolta forzando la mano, e sarebbe difficile nascondere come la mente di tanti - di fronte all'esultanza di José Mourinho per il 2-1 finale della Roma contro il Sassuolo - sia andata ad altre corse, ad altre esultanze.

Josè Mourinho
Mourinho contro il Sassuolo / Giuseppe Bellini/Getty Images

Chi è più vicino alle cose di casa Inter avrà ripensando a quanto accaduto dopo il gol di Maicon contro il Siena, un altro 2-1, e all'abbraccio tra il tecnico e il brasiliano; tornando in orbita giallorossa (perlomeno a livello di fede) non sarà invece mancato chi, vedendo Mourinho avventarsi verso la Sud, avrà gridato un "Come Mazzone!", ricordando la corsa a braccio alzato dell'allora tecnico del Brescia, incontenibile gioia per la rimonta contro l'Atalanta. I paragoni pongono insomma l'accento sulle affinità, sui tratti comuni, ma connettere direttamente il Mourinho post-gol di El Shaarawy a quello che esulta per Maicon, trovando un'identità esatta, sarebbe forse troppo superficiale, sposterebbe l'attenzione da un processo di metamorfosi (evoluzione?) che ha toccato e sta toccando lo Special One nella sua versione capitolina.

Brescia v Atalanta
La storica corsa di Mazzone / Grazia Neri/Getty Images

Quasi aziendalista

L'arrivo di Mourinho alla Roma, a sostituire il connazionale Fonseca dopo un avvicendamento sorprendentemente "morbido" a livello comunicativo, costrinse tanti giallorossi sulle sedie per la troppa emozione: non sono del resto annunci da buttare lì così, senza prepararti, a bruciapelo. Il nome del portoghese è uno di quelli, nel calcio non mancano ma a questo livello sono rari, in grado di portarsi dietro un bagaglio pesante di aspettative, di trofei, di immagini vincenti: arriva Mourinho alla guida della tua squadra e sai che, in un modo o nell'altro, non potrà più accadere di "doversi accontentare" o di vivere alla mera ricerca del bel gioco, come chimera estetica, senza un riscontro di efficacia, un fondo di ambizione. Ecco che, dopo la botta dell'annuncio e dopo essersi alzati dalla sedia, molti si figuravano un mercato faraonico, una sessione estiva fatta di grandi nomi, di elementi di esperienza internazionale comprovata, abituati alle arene più luccicanti; un sogno che, del resto, si legava anche all'esercizio giornalistico/investigativo incentrato sul telefono di Mourinho, pronto un giorno a chiamare Donnarumma, a scrivere a Xhaka, a invitare CR7 per un aperitivo (iperbole più o iperbole meno).

Mourinho e Shomurodov
Mourinho e Shomurodov / VINCENZO PINTO/Getty Images

Niente di tutto questo: al di là di Rui Patricio, profilo forse più coerente con le aspettative di cui sopra, sono arrivati elementi dai connotati radicalmente diversi, da Abraham a Shomurodov passando per Vina, elementi non giovanissimi ma ancora lontani dalla consacrazione internazionale, da una lunga esperienza in Champions, giocatori ancora a caccia del loro posto nel panorama delle realtà più solide e riconoscibili del calcio europeo. Mourinho, commentando il mercato, ha ammesso da un lato di essersi aspettato inizialmente un discorso diverso, su binari tracciati a priori secondo altre esigenze, ma al contempo ha premiato la società e i suoi uomini mercato con parole di stima, apprezzamento per la capacità di reagire (all'infortunio di Spinazzola, all'addio di Dzeko) in modo rapido e coerente con le sue stesse idee, con Abraham in particolare. Un Mourinho pronto, dunque, a sposare una logica più funzionale all'equilibrio dei bilanci, a fare di necessità virtù, a spostare il discorso da quello che avrebbe desiderato per abbracciare quello che invece è stato.

La regola del lavoro

L'immagine di Mourinho che si alza, nella sua conferenza stampa di presentazione, e si prende la briga di spostare un pannello reo di fare troppo rumore è stata consegnata, immediatamente, alle istantanee più iconiche del suo ritorno in Serie A. Il solito istrione, si potrebbe pensare, pronto a studiare gesti e movimenti che attirino l'attenzione su di sé, in parte forse potremmo pensarlo anche a ragione ma, d'altro canto, è stato Mourinho stesso a voler spiegare (implicitamente) il perché di un gesto così insolito.

Il portoghese ha fatto capire, e ci ricolleghiamo alla sua nuova anima quasi aziendalista, di voler entrare nei meandri più reconditi della Roma, intesa come club, non con l'aria del Messia pronto a infondere qualità magiche ma con la testa del giardiniere, del massaggiatore, di un lavoratore qualsiasi di Trigoria, come tassello di un mosaico più ampio. Il tutto con la voglia di rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro, un leader senz'altro ma non un leader distante e autoritario: la stessa voglia di cantare l'inno giallorosso, di mescolarsi al suo nuovo popolo anche simbolicamente, ha detto tanto di questa volontà di vivere da dentro la Roma, non come la cometa troppo luminosa che passa e sparisce in un lampo.

AS Roma and ACF Fiorentina - Serie A
Mourinho e Italiano / Giuseppe Bellini/Getty Images

Il peso dei modi

C'è un altro discorso che colpisce, questo emerso durante le prime tre partite di campionato e appena dopo il fischio finale, e riguarda l'atteggiamento di Mourinho nei confronti delle squadre avversarie e, soprattutto, dei colleghi allenatori (sconfitti in tutti e tre i casi). La vittoria contro la Fiorentina al debutto vide Mourinho scambiarsi diverse parole con Italiano, parole di stima e di apprezzamento per il lavoro fatto, ribadite poi anche ai microfoni delle TV nel post-partita. Con la Salernitana il discorso ha assunto pieghe più umane, slegate da quanto accaduto sul campo, e Mourinho ha voluto sincerarsi delle condizioni della moglie di Castori, avendo saputo del suo malore e volendo dunque far sentire vicinanza al collega. Siamo poi all'attualità pensando al Sassuolo, con Mourinho pronto a generosi apprezzamenti ed abbracci nei confronti di Dionisi, pronto anche a lasciargli in tutta fretta i microfoni di DAZN, come a volerlo mettere in luce: "Ora fate parlare Dionisi perché poi deve tornare a Sassuolo". Anche qui, dunque, emerge un profilo dalle tinte distanti dal protagonista assoluto che (oltre a sapere di esserlo) non fa niente per spostare le luci, tinte lontane da chi vive di toni accesi, divisioni e provocazioni.

Metamorfosi apparente?

Esiste anche una via alternativa alla metamorfosi, quella cioè di una perfetta continuità figlia del talento di José Mourinho nelle vesti di "comunicatore". Non comunicatore per sola retorica, no, ma come protagonista in grado ogni volta di raccontarsi diversamente, seguendo con coerenza la situazione che si trova a vivere, il nuovo contesto, plasmandosi alla nuova realtà. Una questione di maschere, forse, di "essere bugiardi anche con se stessi" (citando Mourinho) per riuscire a raggiungere un dato obiettivo, in modo perfettamente strategico. In tanti ovviamente aspettano al varco lo Special One, pregustandosi i derby o le sfide di cartello, con tutta la curiosità del mondo per questo Mourinho 2.0 proiettato su quelle stesse arene che, 10 anni fa, lo vedevano imperversare con aria da provocatore, battagliare senza esclusione di colpi. Sarà vera metamorfosi o la fine strategia di un camaleonte?


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