La solitudine dei "veri nove": Morata e Immobile si incrociano a metà strada, tra attacchi e mugugni
Un antico esercizio, non necessariamente confinato al mondo del calcio, prevede che in assenza di problematiche e aspetti così critici diventi automatico, quasi vitale, mettersi a ricercare con indole autolesionistica un fatto o una questione per cui lamentarsi. E dunque, anche all'interno di due storie ricche di entusiasmo e di leggerezza, si trovano parentesi meno spensierate, potenziali capri espiatori: nel caso di Italia e Spagna, pronte ad affrontarsi in semifinale di Euro 2020, si tratta guarda caso (ma proprio un caso non è) dei due centravanti titolari, di Ciro Immobile e di Alvaro Morata.
Un Europeo iniziato sotto stelle diverse per i due attaccanti di Lazio e Juventus, nel primo caso all'insegna dell'entusiasmo e dei gol (contro Turchia e Svizzera) e nel secondo caso con critiche pesanti e persino personali interrotte, solo parzialmente, grazie al gran gol contro la Croazia agli ottavi. Una parabola discendente per Immobile e un riscatto conquistato gradualmente per Morata, due protagonisti che dunque, a questo punto, si incontrano a metà strada di un percorso affine, accomunato anche dai numeri: due gol messi a segno per entrambi. I toni delle critiche tracciano un solco tra i due, essendosi mantenuta fin qui nei ranghi della civiltà la questione Immobile, ma i tratti in comune vanno anche al di là dei numeri: sia Immobile che Morata, infatti, si trovano ad agire come terminali offensivi di squadre dalle caratteristiche ben definite, due squadre dall'identità forte e non del tutto affine (o proprio distante) da quel che i due sperimentano nei rispettivi club di provenienza.
Il discorso è eclatante soprattutto nel caso di Immobile e non nasce certo con gli Europei: già da tempo si parla dell'adeguatezza dell'attaccante di Torre Annunziata nel 4-3-3, rispetto a un'appurata efficacia nel 3-5-2 (al suo massimo con Inzaghi in biancoceleste). In sostanza nel club esiste un approccio tutto incentrato sull'attacco degli spazi, sul cinismo e la freddezza come criteri portanti da valutare, mentre nel 4-3-3 di Mancini c'è l'attesa costante di un lavoro diverso, fatto spesso di gioco spalle alla porta, atto a favorire gli inserimenti dei compagni e il dialogo con questi. Il caso Morata si muove per certi versi su basi più umane e meno tattiche: Luis Enrique si è trovato a dover prendere posizione in modo forte a protezione del suo centravanti, non pensando ai suoi movimenti in area o ai gol falliti ma, di fatto, proteggendolo dagli attacchi (addirittura dalle minacce) e dandogli ancora fiducia.
L'attaccante bianconero non ha risposto a quanto accaduto, a parole, e si è affidato a un tiro rabbioso scagliato nella porta della Croazia, come timbro sul riscatto, ma è evidente come il ruolo decisivo per attenuare le tensioni sia stato l'approdo in semifinale, con le sorti della Roja che hanno in qualche modo messo in secondo piano possibili crociate contro Morata. I gol fatti sono gli stessi, rispetto a Immobile, ma il centravanti azzurro si è rivelato in proporzione più cinico rispetto al collega spagnolo: quest'ultimo, infatti, ha sprecato occasioni ancor più nitide. Entrambi però, di fatto, non hanno saputo ottimizzare quanto creato dai compagni e non hanno ottenuto certo il massimo dai 16 e dai 14 tiri (rispettivamente per Immobile e Morata) scagliati verso le porte avversarie.
Italia-Spagna a questo punto è il più classico dei crocevia, un momento in cui le esperienze dei due protagonisti si incrociano in modo diretto: per entrambi, soprattutto, l'occasione per allontanare critiche e zittire i più scettici, col peso di un gol da finale che, senza dubbio, manderebbe in archivio il ricordo di ogni singola occasione sprecata.
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