In Serie A si segna più che mai: vanto o specchietto per le allodole?
Tra i tanti criteri che ci permettono di mettere a confronto i vari campionati, pensando in particolare ai principali campionati europei, si finisce spesso per soffermarsi su aspetti legati al valore delle rose, agli ingaggi più ricchi e al volume d'affari generato da un singolo campionato.
Non mancano però situazioni di campo che, a ragione, reclamano attenzione e dignità anche in una logica di confronto: quest'anno, in continuità del resto con la stagione 2020/21, si sta notando l'aumento di gol segnati in Serie A e un rapporto diverso (a livello di gol fatti) tra il campionato italiano e le altre divisioni più importanti d'Europa (Premier League, Liga, Serie A, Bundesliga, Ligue 1).
Una questione di numeri
I numeri in questo senso parlano chiaro e vedono la Serie A spiccare su Premier League, Liga e Ligue 1 in quanto a reti complessivamente messe a segno fin dall'inizio della stagione: il campionato italiano è secondo solo alla Bundesliga e neanche di troppo.
La media gol per partita in Serie A è di 3,03 mentre in Germania siamo a quota 3,14. I dati sono in controtendenza rispetto a quanto accadeva storicamente, la Liga in particolare si sta rivelando di recente meno ricca di reti rispetto al passato: è ultima per gol segnati fin qui, una media di 2,55, sopravanzata sia dalla Ligue 1 (2,7 gol a partita di media) che dalla Premier League (2,89 gol a partita).
Una situazione che già a dicembre balzò agli occhi di tanti, soprattutto considerando la voglia della stessa Serie A di rivendicare il numero di gol segnati come cifra distintiva del nostro calcio: in un tweet dell'account ufficiale della nostra massima serie si utilizzava per l'appunto la quantità di gol fatti come antidoto alla "noia" che qualcuno potrebbe associare (tradizionalmente) al campionato italiano, visto come sede di tatticismi e indole catenacciara.
A caccia di riscatto
Diventa evidente come la volontà di "vendersi" come campionato spettacolare abbia un filo conduttore, neanche troppo sottile, coi rimpianti estivi dovuti ad addii pesanti come quelli di Cristiano Ronaldo e Romelu Lukaku, due che di gol se ne intendono e che hanno caratterizzato in modo evidente la Serie A a livello di contributo in fase realizzativa (24 il belga e ben 29 il portoghese nella stagione 2020/21, prima dell'addio).
Appare palese, alla luce degli addii pesanti in estate e dell'impatto mediatico associato a uno spettacolo meno brillante in A, la volontà di mettere in mostra numeri in controtendenza rispetto alle attese più pessimistiche: una scelta, però, più di facciata che non effettivamente supportata dalla sostanza, soprattutto per un'associazione d'idee non sempre valida o comunque non automatica.
Quantità ed estetica
Una giornata più che mai ricca di gol e di risultati pirotecnici, la ventunesima, non ha mancato però di presentare un conto fatto di voci critiche e di polemiche. A conti fatti è folto lo schieramento di chi non celebra la pioggia di gol come cura contro ogni male e come garanzia di successo, vedendola anzi come emblema di aspetti tutt'altro che virtuosi.
Del resto si sottolinea spesso come lo 0-0 non sia necessariamente portatore di noia o di prudenza all'estremo, finendo persino per essere individuato come il non plus ultra a livello tattico, perlomeno sul piano teorico, forte dunque di una dignità persino superiore rispetto alle sfide da over.
Non è dunque scontato che un un 2-6, un 1-5 o un 3-4 (tutti risultati visti nell'ultima giornata) risultino nei fatti più memorabili di un pareggio senza gol o di una vittoria strappata di misura: sarebbe forviante mescolare quantità di gol e qualità delle giocate, sia per un contributo talvolta deleterio delle difese (in quei risultati da over) che per la presenza di reti talvolta fortunose e non figlie di azioni o giocate da ricordare.
Da che dipende?
Diventa dunque utile, per capire se si tratti di vanagloria o di un vanto giusto da far valere, esplorare le radici dei gol a raffica in Serie A e di giornate di campionato caratterizzate da risultati ben lontani dagli 0-0 che un tempo segnavano il nostro campionato.
Esiste senz'altro un aspetto virtuoso ed è indubbio: anche tra le squadre di metà classifica o persino coinvolte nella salvezza esiste la tendenza a creare un'identità di gioco atta a segnare un gol in più rispetto all'avversario, senza dunque un esasperato attendismo e senza celebrare il motto secondo cui "non prenderle" sarebbe l'obiettivo a cui votarsi.
Esempi come l'Empoli e il Venezia, persino lo Spezia in certi momenti della stagione, hanno spostato il discorso e lo hanno per certi versi elevato, va considerato poi l'impatto di una realtà come l'Atalanta di Gasperini sul calcio italiano, sull'influenza di un gioco fatto di rapide transizioni, di intensità e della capacità di prendersi dei rischi. Il tutto unito a un'interpretazione sempre più dinamica e fluida dei ruoli, con esterni bassi che rappresentano spesso armi offensive o terzi di difesa in schieramenti a tre che escono e danno qualità.
Al contempo c'è un rovescio della medaglia che va ben al di là degli errori tecnici dei difensori: da un lato c'è sempre meno tempo per preparare le partite, con un calendario notoriamente intasato, d'altro canto l'attualità ci presenta un conto fatto di frequenti defezioni (pensiamo anche all'aumento dei positivi al Covid in A) e di formazioni spesso rimaneggiate anche in difesa, con meccanismi poco oliati e una continuità complessa da trovare. Tutti aspetti, questi, che riescono in parte a spiegare la difficoltà a blindare una difesa, sia come problema di derivazione tattica che di tenuta atletica delle squadre lungo i novanta minuti.