Scamacca non aver paura di portare il peso di un cognome
Sarà capitato anche a voi di rivedere per la ventiseiesima volta il gol di Maradona contro l'Inghilterra nell'86, non quello di mano ma l'altro, e di chiedervi: ma chissà il cognato del Pibe de Oro, che tipo sarà? Oppure chiaramente sarà successo a tutti di trovarsi con gli occhi sbarrati di fronte a un vecchio dribbling di Ronaldo, il Fenomeno, e di interrogarsi poco dopo su suo cugino. Sarà una brava persona? Ho sentito dire che, una volta, non aiutò ad attraversare una vecchietta sulle strisce, non ci siamo.
Sono questioni che non possono che portarti a riconsiderare per intero la carriera calcistica di un campione, è evidente, vicende su cui davvero diventa difficile soprassedere: puoi scartare tutta la squadra avversaria, puoi segnare in rovesciata dalla trequarti, puoi ribaltare da solo l'esito di una partita, ma ancor di più della benedizione del talento sarà il peso di un cognome a seguirti, a perseguitarti.
E se succede con Maradona e con Ronaldo perché non dovrebbe accadere con Gianluca Scamacca, 22 anni e una carriera ancora tutta da scrivere? Immaginiamocelo: l'Italia cerca un centravanti, lui inizia a ingranare con il suo Sassuolo e a giocare con continuità agli ordini di Dionisi, a segnare e ad arrivare per la prima volta in doppia cifra, a convincere Roberto Mancini. C'è un playoff da giocare, c'è da buttarla dentro senza ripercorrere l'incubo vissuto nel 2017 con la Svezia, con quel pallone che non voleva entrare, c'è da trovare un bomber che convinca e che spazzi via falsi nove, ali reinventate come punte, attacchi leggeri. Mancini è lì che riflette, che si arrovella per capire chi schierare là davanti, quale terminale offensivo scegliere...a un certo punto si ferma, gli tornano in mente i titoli: "Scamacca con una spranga a Trigoria", "Scamacca con un coltello in un bar". Niente, non si può, tocca tornare all'attacco leggero, a Insigne che ruota con Berardi che ruota con Chiesa.
Del resto se il tuo account Instagram è "IamScamacca" diventa difficile divincolarsi da tutto questo, dire che non è come sembra, che tu non c'entri niente. Torna tutto il peso di un dato che ti hanno messo addosso, di un'etichetta che c'era già a priori e che in qualche modo costringe a trovarsi proiettati in un mondo che altri hanno tirato su, in faccende che davvero non ti riguardano. Sarebbe come camminare per strada, vedere uno sconosciuto che si avvicina e prendersi un cazzotto perché gli ricordavi qualcun altro: lo stesso surreale ma inesorabile epilogo.
Esiste però una possibilità alternativa, un finale diverso, in cui il cognome diventa, in fondo, solo un insieme di lettere messe lì in un certo ordine ma non ha poi un reale significato. Una realtà in cui la famiglia diventa quella che ti scegli, in cui i riferimenti non li stabilisce l'anagrafe: in una simile realtà può persino darsi che l'Italia trovi il suo centravanti, che la doppia cifra in Serie A diventi realtà o (miracolo) che smettano finalmente di fare titoli che ripercorrano a ritroso il tuo albero genealogico a caccia di magagne, in nome di un click in più (col mantello posticcio della cronaca).
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