Non può esserci solo l'Europa: è una Roma che non reagisce. Ma non è troppo tardi

Delusione giallorossa
Delusione giallorossa / MB Media/Getty Images
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Nelle analisi post-partita è quanto di più raro esista un tecnico che, a chiare lettere, ammetta la presenza di un "problema di testa" all'interno della sua squadra: più comune che l'allenatore di turno scomodi il poco tempo a disposizione per prepararsi, i tanti infortunati, il fato avverso o il campo malmesso. Quando succede, quando cioè un tecnico arriva a non poter più nascondere quel "problema di testa", significa che l'oggetto della discussione è ormai troppo ingombrante per nasconderlo sotto al tappeto.

Paulo Fonseca
Fonseca in conferenza stampa / Jean Catuffe/Getty Images

L'enormità del problema, alla lunga, la suggeriscono anche i numeri: zero punti ottenuti dalla Roma contro le big, contro le squadre con cui di fatto di giochi la stagione, e appena tre pareggi. Per il resto solo batoste, alcune anche pesanti e senza appello. Quel che spaventa non è solo il computo globale dei risultati ma l'incapacità di reagire: nelle tante sconfitte contro le big la Roma non è mai riuscita, di fatto, a tornare in partita e a rimettersi sui binari, col solo Milan era arrivato un provvisorio pareggio poi vanificato dal gol di Rebic. Ed è surreale pensare all'impeto e alla foga di squadre meno attrezzate, nella ricerca del gol risolutivo nel finale, paragonandoli a una Roma che passivamente "amministra" la sconfitta. L'ultima giornata andata in scena, e non è stata un'eccezione, ha regalato rimonte e sorpassi, una routine certo non inedita anche per squadre dalle evidenti lacune tecniche. E contro il Napoli, pur crescendo nella ripresa, la Roma di Paulo Fonseca è arrivata al massimo ad avere in mano il possesso ma non è mai riuscita a incidere, appariva innocua rispetto a un Napoli sicuro, concreto e pronto ad alternare fraseggio e ricerca della verticalità senza affanni e patemi d'animo.

AS Roma v SSC Napoli - Serie A
Politano e Ibanez / MB Media/Getty Images

Come in ogni blocco mentale che si rispetti è chiaro un rischio, dietro l'angolo: quello del circolo vizioso, del problema che si ingigantisce e si autoalimenta. L'Europa League per molti appare la strada maestra, a questo punto, per puntare alla Champions: la classifica in Serie A inizia a farsi complessa da risalire, si pensa, e fin qui i giallorossi hanno dimostrato di saper gestire meglio le pressioni europee. Un'idea che, però, si è spesso rivelata peregrina e deleteria nella storia: anche sul fronte internazionale stanno per arrivare le big, quelle vere, e affidare il futuro di una stagione a partite da dentro o fuori appare un azzardo troppo grande. Se nelle singole sfide la Roma non ha mostrato la forza di inseguire è necessario dunque che, da qui al fischio finale del campionato, i giallorossi riversino in campo tutta la voglia di riprendersi qualcosa di fondamentale, come il quarto posto. Vincere con le "piccole" potrebbe non bastare, gli scontri diretti con le avversarie del resto consegnano numeri impietosi e vedrebbero la Roma indietro con tutte le concorrenti, ma la missione non è certo più ardua rispetto a trionfare in Europa.

Paulo Fonseca, Edin Dzeko
Dzeko e Fonseca / Silvia Lore/Getty Images

E certo, pur riconoscendo il peso dell'aspetto mentale, sarebbe miope accantonare altri fattori critici. Non mancano per esempio perplessità su alcune soluzioni ripetute a oltranza, contro avversari ben diversi tra loro: come emblema l'utilizzo di Cristante in qualità di centrale di difesa, ruolo gestito con qualche affanno soprattutto nel far uscire la squadra nei modi e coi tempi giusti. Difficile stupirsi però, pensando alla storia di un Cristante che, di fatto, sembra più portato a vestire i panni del Pellegrini che non quelli del De Rossi di turno. Senza sottovalutare un ulteriore paradosso: Dzeko vissuto ormai come un elemento da dover "forzatamente" rendere centrale (in quanto Dzeko) e non un ingranaggio che risulti armonico e funzionale rispetto al gioco di Fonseca.

Inutile nasconderlo però: Fonseca ha dovuto troppo spesso fare di necessità virtù, centellinando le pedine a disposizione per ovviare ai tanti impegni e alle assenze che - a turno - hanno toccato tutti i principali punti di forza della rosa. Non è un alibi in senso stretto ma un invito: quello a rendersi conto che, ora più che mai, vale la pena di gettare il cuore oltre l'ostacolo, senza quella sensazione ormai diffusa che "sia troppo tardi" per tentarle tutte, anche in campionato.


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