Perché ritirare i numeri di maglia è nostalgia e non riconoscenza

NY Cosmos v Atlanta Silverbacks
NY Cosmos v Atlanta Silverbacks / Ira L. Black - Corbis/GettyImages
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Ci sono due circostanze conclusive, una definitiva e l'altra soltanto sportiva, che rinnovano costantemente un interrogativo e ce lo ripresentano come attuale: da un lato la scomparsa di un uomo di sport e dall'altro il semplice ritiro, dal punto di vista dell'attività agonistica, per poi dedicarsi a un nuovo capitolo della propria vita.

Il punto di domanda arriva a toccare un aspetto simbolico divenuto sempre più cruciale anche a livello di immagine, nel culto stesso del singolo calciatore, ma apparso anche in tempi più remoti come un elemento chiave per comprendere di che tipo di giocatore si parli: il numero di maglia.

Museum of Football
La 10 di Pelé / Anadolu Agency/GettyImages

Omaggio o sacrificio?

Le circostanze conclusive citate inizialmente, quella definitiva e quella più meramente sportiva, spingono talvolta ad assecondare nostalgicamente la voglia di omaggiare un simbolo arrivando ad estirparlo, attraverso appunto il ritiro del numero di maglia di chi - a modo suo - ha saputo fare la storia.

Come se l'omaggio più grande, dunque, fosse quello di rendere saldo e incrollabile un retaggio, quello di rendere effettivamente impossibile sostituire chi ha portato quel dato numero ai suoi massimi livelli all'interno di uno specifico contesto sportivo (oppure in modo più assoluto).

E chi, più del recentemente scomparso Pelé, ha saputo tracciare un solco storico - a livello simbolico - nel rapporto col numero di maglia? Il 10, anche grazie a O Rei, è divenuto una rappresentazione visibile della classe, ha saputo legarsi a un immaginario profondo e ricco di giocate, di grandi nomi, di artisti del pallone.

Pelé - Soccer Player - Born 1940
Pelé / Ira L. Black - Corbis/GettyImages

Ritirarlo? No, scriverlo dappertutto

Sul solco dell'attualità, con la scomparsa del leggendario fuoriclasse del Santos e del Brasile, Luciano Spalletti ha voluto citare (in positivo) la scelta del club brasiliano di non ritirare in alcun modo la maglia numero 10.

"Volevo fare i complimenti a quelli che hanno deciso di non togliere la maglia su richiesta di Pelé, sembra che abbia detto lui in precedenza che non avvenisse questo. Era già moderno oltre che da calciatore anche come persona. Se una maglia si toglie, lo dico a quelli che vogliono rimanere indietro, quel numero non si vede più. Scriviamolo sulle altre maglie dei calciatori il 10, su tutte, facciamolo vedere il più possibile che quella è la maglia che ha indossato Pelé" ha affermato Spalletti.

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Diego Armando Maradona / AFP/GettyImages

Il tecnico di Certaldo dunque sposa l'idea secondo cui la celebrazione e l'omaggio si possano mostrare attraverso modalità diverse, modalità che non siano conclusive e appunto definitive come la rimozione di un numero di maglia. Una linea, quella di Spalletti, che risulta virtuosa anche al di là della specifica richiesta fatta da Pelé nel 2017, come vero e proprio input. Se i numeri di maglia hanno un valore simbolico, se hanno davvero un'anima, è corretto e naturale seguirne quel proposito di immortalità e diventa invece una forzatura voler nascondere, voler serrare un capitolo con il lucchetto.

Spostare gli orizzonti

Anche Totti, un altro 10 che ha fatto storia, si è espresso in passato seguendo lo stesso percorso e la stessa idea, parlando del ritiro del numero: "Io ho sempre detto di no, poi è una scelta che farà la società. Mi dispiacerebbe levare a ogni giovane, ogni bambino il sogno, che io ho realizzato, di indossare la maglia numero 10 della Roma. Ma nello stesso tempo so che non sarebbe facile indossarla".

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Un piccolo tifoso giallorosso / VINCENZO PINTO/GettyImages

La dimensione del sogno diventa cruciale, dunque, per capire come il ritiro di una maglia sia una scelta (pur mossa da intenzioni virtuose) pronta a diventare soltanto nostalgica: adoperando un taglio netto, escludendo dunque un numero, si finisce per porre un confine all'orizzonte, si arriva a riconoscere come il mito e la leggenda siano soltanto pezzi di passato e non - invece - finestre aperte sul futuro.

Può apparire retorico citare i bambini come custodi del sogno, senz'altro, ma di fatto diventa vitale percepire il calcio in una sua prospettiva che non si limiti a guardarsi indietro ma che si proietti oltre, che cerchi costantemente nuovi simboli, che desideri innamorarsi di nuovo (senza perciò tradire chi c'è già stato). Anche col rischio, sempre presente, di invaghirsi di chi non lo meritava: ne vale comunque la pena.