Una "liberazione" fatta di rimpianti: Pastore-Roma, triste epilogo di un calvario
Quando si pensa a un lieto fine, nel calcio ma non solo, è raro che ci si immagini un addio, una separazione che, da che mondo è mondo, è contraddittoria rispetto al vissero felici e contenti finale. Eppure nel contesto della Roma, nell'ambiente giallorosso nel senso più ampio, serpeggia ora questo senso di liberazione, l'idea di poter guardare oltre con sollievo e di essersi tolti un peso. Paradossale pensarlo, provando a proiettarci nell'estate del 2018 e nelle sensazioni legate all'arrivo di Javier Pastore, a tutto ciò che tale acquisto sembrava poter portare con sé.
Aspettative e illusioni
Sette stagioni vissute al Paris Saint Germain, accompagnando l'ascesa del club parigino con 45 gol in 269 presenze complessive e un bottino di assist superiore ai 60, non potevano che ingolosire i giallorossi, ripensando anche alle annate già vissute dal Flaco in Serie A con la maglia del Palermo. I lustrini degli inizi al PSG, come giocatore più pagato dell'intera Ligue 1 e come colpo ad effetto del club, erano però lontani e altri acquisti (come Ibrahimovic prima e Neymar poi) avevano spostato l'asticella, rendendo Pastore "uno dei tanti" non più la stella su cui puntare, complice una tenuta fisica non certo solida e una discontinuità di fondo. La voglia di rilancio dell'argentino, intenzionato a sentirsi nuovamente centrale, incontrava dunque l'ambizione giallorossa e Monchi individuò dunque Pastore come rinforzo valido per il 4-2-3-1 di Di Francesco ma utilizzabile anche nel 4-3-3 (come accadde nelle prime uscite). Un avventura che sapeva di rivincita, come ebbe modo di dire lo stesso argentino, andando a ritrovare un contesto noto e amato come quello della Serie A, campionato che Pastore continuò a seguire nonostante gli anni di assenza, dalla vicina Francia. Esperienza partita con belle giocate, colpi di tacco e tante illusioni.
Il calvario
L'elemento sfortuna ha sempre giocato un ruolo centrale nel minare la realizzazione completa di Javier Pastore, il suo passaggio da eccellente talento a fuoriclasse riconosciuto, da campione a sprazzi a punto fermo. La stessa esperienza parigina è stata tratteggiata tra momenti di classe pura, fin dall'esordio assoluto con la maglia del PSG, e stop forzati per guai muscolari a ripetizione: dal 2015 al 2018 furono tanti i problemi al polpaccio e, in più, nella stagione 2016/17 ci si mise anche la rottura del legamento collaterale del ginocchio con due mesi di stop conseguenti. L'infiammazione al polpaccio come costante, come passeggero scomodo con cui fare i conti: era però, purtroppo, solo l'inizio. Gli anni di Roma hanno visto aggiungersi un ulteriore fantasma a quello già presente e ingombrante, già tale da ridurne le presenze nella prima stagione (con stop di 15-20 giorni, tali da comprometterne la continuità). Le ultime stagioni hanno ulteriormente spostato, dunque, l'asticella del calvario vissuto dal Flaco: basti pensare che l'operazione all'anca a cui si è sottoposto nell'agosto del 2020 lo ha visto poi riaffacciarsi sul campo nell'aprile 2021, a fronte di uno stop che sarebbe dovuto essere inferiore ai due mesi, sulla carta. Una riabilitazione complessa, un'Odissea slegata dal semplice discorso calcistico ma finita per toccare la quotidianità e la vita di un calciatore tenuto lontano dal campo dal giugno 2020 fino all'aprile 2021, con tanto di dubbi sulla possibilità di essere ancora un giocatore, ancora utile alla causa.
L'uomo di troppo
Accanto al discorso fisico, però, resisteva e anzi aumentava di proporzioni il "peso" di Javier Pastore nelle logiche della Roma: una situazione che, di fatto, ha impedito anche alla piazza di aspettarlo serenamente e di accompagnarne il ritorno, soprattutto negli ultimi tempi, quando i tanti addii a un passo e poi saltati sono andati a minare nettamente il rapporto. Dagli auguri di pronta guarigione si è passati ad altro, dalla voglia di "ribaltare il destino" citata dal Flaco nella lettera di addio si è passati al male assoluto degli "esuberi" da piazzare, di quei nodi che tengono fermo il mercato e vengono dunque colpevolizzati, demonizzati. Il tutto, ovviamente, aggiunto a un contratto così ricco da spingere i meno lucidi a escludere del tutto il dolore o il concetto di difficoltà dalla vita di un calciatore: guadagni tanto e sei in vacanza, di cosa ti lamenti? L'impressione che non potesse che finire così era lampante, da tempo, e ogni breve spazio ritrovato sul campo era (chiaramente) solo un ulteriore tappa di un lungo addio, senza che qualcuno credesse, da fuori, a un vero e proprio rilancio. Il solo auspicio è che il sospiro di sollievo sia reciproco e che il veleno degli ultimi mesi lasci spazio a un rimpianto vago e sottile, con la parola fine (in senso assoluto) ancora lontana dalla carriera di Pastore.