Mourinho e il cruccio della panchina: i "ragazzini" nell'era dei cinque cambi
Il perfezionismo e l'incapacità (voluta) di non sedersi sugli allori sono parte integrante, indispensabile, del Mourinho pensiero: emblematico l'atteggiamento di insoddisfazione dopo il 5-1 di Conference col CSKA Sofia, una Roma che non ha convinto del tutto il suo tecnico nonostante le reti messe a segno e le occasioni create. Da un lato c'è la voglia di tenere l'entusiasmo a freno, per non subire poi un contraccolpo troppo forte nei momenti difficili, d'altro canto non mancano lamentele più chiare e circostanziate, la principale e più esplicita riguarda i cambi a disposizione e la profondità della rosa dei giallorossi.
Malcelati timori
José Mourinho ha mantenuto in estate un profilo tutto sommato "aziendalista", per quanto possibile pensando allo Special One, e ha sottolineato con piacere un colpo come quello che ha portato Abraham in giallorosso, in risposta all'addio di Dzeko. Al contempo però, accanto a questa reazione, Mourinho ha spiegato di essersi aspettato qualcosa di diverso (almeno a priori) dalla sessione estiva. E di recente, dopo il netto successo sul CSKA Sofia, il portoghese è sceso ancor più nel dettaglio: quando si volta verso la panchina fa fatica a trovare elementi d'esperienza, pronti da gettare nella mischia quando il gioco si fa duro, mentre abbondano i "ragazzini" ancora a caccia (logicamente) di una maturità calcistica.
Le virtù dello zoccolo duro
Fin qui emerge un dato statistico perfettamente in linea con l'ultimo appunto mosso da Mourinho: in Serie A, dal primo minuto, il tecnico della Roma è stato fin qui quello che si è rivolto al minor numero di giocatori, soltanto 12 di fatto. Il portoghese ha insomma individuato uno zoccolo duro che, almeno in campionato, ha fornito le giuste garanzie e non ha optato per cambiamenti o turn-over tra le varie sfide. Sicuramente la presenza di un solido gruppo di riferimento è confortante, una base di partenza, ma al contempo è valido il timore di Mourinho sui possibili infortuni e sui pochissimi ricambi soprattutto in determinati ruoli (quello di terzino destro ad esempio). Le poche variazioni, quasi nulle, si legano dunque a un discorso di continuità e di fiducia ma anche a ricambi che non offrono le stesse garanzie dei "titolari".
L'era dei cinque cambi
Ora più che mai, nell'era dei cinque cambi a disposizione, il ruolo di chi parte dalla panchina si sta rivelando strategico e persino decisivo: non mancano esempi virtuosi come Juric e Italiano, anche senza andare ad altissimo livello, che permettono di capire quanto sia utile una rosa profonda da cui attingere, sia ruotando i giocatori tra le varie sfide che gettando nella mischia i giocatori più pronti nella ripresa, per rompere l'equilibrio o far rifiatare chi ha giocato di più. Appare evidente come in certi ruoli i potenziali sostituti non diano le stesse risposte dei titolari, anche per caratteristiche diverse: rinunciare a Karsdorp, Veretout o Cristante, così come a Zaniolo o Mkhitaryan non è cosa da fare a cuor leggero, soprattutto se agli occhi del tecnico la rosa non offre tutte queste risorse già pronte da spendere.