Mourinho comunicatore perfetto? Una narrazione che cambia (troppo) nel tempo
Quante volte ci troviamo ad abbassare il volume della TV o a scorrere oltre quando l'allenatore di turno si concede ai microfoni della stampa, dopo una partita? A prescindere dal risultato, del resto, appare quasi inesorabile che le parole successive al fischio finale sappiano di stantio, di già sentito, siano pronunciate da chi, in quel momento, vuole semplicemente sbrigare una formalità per poi tornare negli spogliatoi, per sentirsi di nuovo a casa.
A rompere questa fastidiosa consuetudine ci pensa José Mourinho, lo fa sorprendendoci, spostando l'attenzione da dove a priori immagineremmo che vada, tirando in ballo aspetti che ritenevamo marginali e rendendoli improvvisamente tema di discussione (non solo sul momento, anche nei giorni e nelle settimane successive).
Un racconto che cambia
Ecco dunque che Karsdorp da emarginato diventa una risorsa da difendere, ecco che il romanismo di Bove diventa un argomento di discussione. Dopo il successo della Roma sul Verona, frutto di una partita dura e segnata dalle tante interruzioni, Mourinho sposta il suo infallibile faro su un fattore che - a priori - sarebbe apparso surreale da citare: l'atteggiamento dei tifosi all'Olimpico.
Un allenatore individuato nel capopopolo ideale, un leader in grado di trascinare "la sua gente" e di rappresentare una forza attrattiva potente per calciatori di primo livello. Proprio lui, dunque, si trova a guardare quello stesso popolo negli occhi e a metterlo di fronte a delle responsabilità: tu sai fare la differenza, come col Bodo, ma sai anche fare danni.
Un richiamo che appare paradossale per due ragioni ben delineabili: da un lato, osservando la percentuale di riempimento degli altri stadi italiani, è lampante quanto la fedeltà del tifo giallorosso sia un unicum nell'intero panorama del nostro Paese; d'altro canto risulta ancor più curioso che i giocatori presi in considerazione (Karsdorp e Bove) siano stati in modo diverso al centro di passate strategie comunicative dello stesso Mourinho.
Un problema di coerenza
Nel caso dell'olandese non occorre neanche leggere troppo tra le righe: il tecnico portoghese, dopo la sfida col Sassuolo, definì "poco professionale" l'atteggiamento di quello stesso calciatore che oggi si trova a difendere dai mugugni di qualche tifoso (peraltro con altrettanti applausi emersi in modo ancor più lampante). Pensando a Bove, d'altro canto, non possiamo dimenticare le numerose occasioni in cui Mourinho ha definito "bambini" quei calciatori della Primavera chiamati in prima squadra o situazioni in cui ha sottolineato la distanza di livello tra titolari e riserve.
Due situazioni in cui, evidentemente, lo stesso approccio comunicativo di Mourinho ha condizionato la percezione di tifosi e addetti ai lavori rispetto ai calciatori citati. La natura di comunicatore perfetto di Mourinho è dunque lampante se si tratta di saper spostare l'attenzione, di saper puntare il faro dove gli altri non si aspettano, ma esiste un altrettanto palese nodo di continuità e coerenza nella narrazione fatta dal portoghese, col rischio di poter risultare contraddittorio anche agli occhi di quegli stessi tifosi che tanta devozione (e tanto credito) gli stanno dimostrando.