Milan, Pioli: "Qui è il posto giusto. Ibrahimovic un animale. Calabria e Kessié? Ci ho discusso"
L'allenatore del Milan, Stefano Pioli, ha parlato a Sportweek, settimanale della Gazzetta dello Sport.
NORMAL ONE - "Se per “normale” si intende uno che ha voglia di crescere e migliorarsi sempre, allora lo sono. E merito tutto quello che ho, perché ci metto tanta passione. Come mai ancora nessun trofeo? Bisogna avere la squadra adatta. Finora non mi è capitato, ma al Milan sono al posto giusto al momento giusto. Ma ‘normale’ non vuol dire che mi vada bene tutto e che abbia poco carattere e personalità. Nel calcio troppo spesso si confondono l’educazione e il rispetto con la mancanza di carattere e di carisma. Io mi arrabbio spesso, anche se al Milan adesso un po’ di meno”.
IL RUOLO DELL'ALLENATORE - "Bisogna essere furbi. A me piace essere schietto e diretto, ma a volte devi far finta di niente, dire e non dire, per il bene della squadra. Altre devi essere paraculo, perché in un gruppo ci sono equilibri sottili e bisogna pesare rischi e vantaggi nel tenere un comportamento invece che un altro. Da quando alleno mi è successo due volte che un calciatore si sia presentato in ritardo a un allenamento oppure a una riunione tecnica, e in entrambe le occasioni il giocatore non è stato convocato alla domenica. Quando non ci si impegna abbastanza per ottenere il massimo da se stessi provo un senso di fastidio, è una cosa che mi fa imbestialire”.
L'INIZIO AL MILAN - "Si parlava di un esonero? Nel calcio non esiste equilibrio: o sei troppo bravo o sei troppo scarso. Ma non è così e io so che non è così. Ho la bacheca vuota, ma sono convinto delle mie capacità. Perciò mi disinteresso di quel che si dice all’esterno. Per vincere ci vuole la squadra adatta, e io fino a oggi non credo di averla avuta. Ci sono andato vicino con la Lazio, arrivando in finale di Coppa Italia e Supercoppa, ma mi sono trovato davanti la Juventus. Sono stato un vincente quando ho preso la Salernitana che doveva fare la C e invece ci siamo salvati bene in B. Al Bologna, preso con 1 punto in 5 giornate e con me ne ha fatti altri 50. Alla Fiorentina, portata all’ottavo posto. Alla Lazio, finita terza dopo non so quanti anni. Nel calcio ti appiccicano un’etichetta, che quasi mai rispecchia un giudizio completo. Ma ricordo con piacere questa frase: ‘Pioli è un allenatore signore o un signor allenatore?'”.
IL PIOLI RAGAZZINO - "Ero innamorato del pallone e per questo facevo fatica a scuola. Quando, a 12 anni, mamma mi iscrisse alla scuola calcio del quartiere, ero il bambino più felice del mondo. Se mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, non ho mai risposto: l’astronauta o l’ingegnere, ma sempre e soltanto ‘il calciatore’. Ho avuto un padre poco presente: al mattino faceva il portalettere, al pomeriggio il muratore o l’agricoltore. È mancato un anno fa e il ricordo più bello che ho di lui è la sensazione di sicurezza e protezione che provavo quando gli stavo vicino. Era una persona generosa. Noi avevamo veramente poco, ma quel poco lui era disposto a dividerlo con altri. I miei mi hanno trasmesso senso del lavoro e del sacrificio Mio fratello Leonardo era più forte. Tecnicamente non c’era paragone. È più grande di 16 mesi, andammo a fare il provino per il Bologna: io venni scartato subito, Leo sarebbe stato preso ma si ruppe un ginocchio e finì con me al Parma, allora in C. Ha giocato nei dilettanti emiliani, difensore da una decina di gol a stagione. Adesso fa il portalettere, Danilo è capo magazziniere".
I CALCIATORI DI OGGI - "Sono diversi per tutto ciò che gira loro intorno, ma, solo perché hanno la macchina potente o sono circondati da belle donne, troppe volte si dimenticano che sono ragazzi come lo siamo stati noi. Hanno bisogno di sostegno e di appoggio. Io offro loro chiarezza e rispetto, venendone ricambiato. Rispetto a loro, ai miei tempi noi giocatori non avevamo telefoni e computer. In ritiro facevamo notte giocando a carte o a Risiko, oggi ognuno sta col suo Ipad. Perciò non amo i raduni prepartita. Ma è cambiato il mondo, non il calciatore”.
KESSIÈ E CALABRIA - "All'inizio abbiamo discusso tanto. Quando non ti conosci ancora bene, succede. Avevamo idee diverse su certi aspetti del lavoro quotidiano e del gioco. Non sempre è facile far capire subito i tuoi metodi, la tua cultura del lavoro, le tue idee di gioco, il modo di stare in campo. Specialmente quando subentri a stagione iniziata, hai poco tempo per raddrizzare le cose e quindi pretendi che gli altri ti capiscano velocemente. Quando non succede, ci sta lo scontro, ma rientra in un normale processo di crescita. Il risultato sono il Kessie e il Calabria che vedete oggi.
Quando discuto alzo la voce. Non lo faccio apposta, ma bisogna dirsi le cose come stanno ed è importante il modo con cui si dicono. Quando è il momento di ascoltare, ascolto. Se ho dei dubbi, aspetto prima di fare. Ma quando sono convinto delle mie ragioni, vado dritto”.
LAZIO, INTER E FIORENTINA - "Non sono rimasto a lungo. Delle tre, sono sicuro di avere delle responsabilità solo alla Lazio. È il mio rimpianto, perché il primo anno giocammo in maniera fantastica. Con l’esperienza che ho oggi avrei gestito in maniera diversa certe situazioni dentro la squadra. Non intervenni nella maniera giusta per risolverle. L’Inter? Non si può giudicare un allenatore per sei mesi di lavoro, e il livello della Fiorentina era quello di dove l’ho lasciata. In generale, rispondo che ci sono allenatori giovani che sono già completi, a me è servito più tempo. Oggi mi considero un tecnico adatto a qualsiasi squadra. E al Milan mi sento al posto giusto al momento giusto. Al Milan c’è una proprietà che non ti fa mancare nulla. Con Maldini, Massara e Gazidis lavoro in sintonia. C’è un gruppo di giocatori che la società ha plasmato, migliorandolo poco alla volta. Non abbiamo ancora fatto niente, ma i risultati parlano”.
CHAMPIONS O SCUDETTO - "A Milanello dobbiamo essere equilibrati e intelligenti: la stagione scorsa siamo arrivati a 12 punti dalla zona Champions e a 17 dalla Juve campione. Non è giusto pensare allo scudetto quando sono passate appena dieci giornate. Dobbiamo solo avere il coraggio di continuare a crescere, essere ambiziosi e provare a vincere tutte le partite, perché siamo il Milan e abbiamo qualità. Ad aprile vedremo dove saremo”.
COVID - “Beh, quando scopri di essere positivo un po’ di preoccupazione ti viene, soprattutto perché avevo contagiato mia moglie e mio figlio. Per fortuna ho avuto sintomi leggeri, neanche ho perso olfatto e gusto, quindi tutto sommato ho passato questo periodo con serenità. Mascherina e distanziamento sono più che mai necessari, in attesa di una cura”.
MILAN SENZA IBRAHIMOVIC - "La squadra è consapevole delle proprie qualità e ormai ha ben chiari i concetti di gioco. Detto ciò, sappiamo quanto Zlatan sia stato importante per la crescita del gruppo e quanto importante sia la sua presenza in campo. Ma abbiamo altre caratteristiche da sfruttare quando non è con noi”.
PRIMO INCONTRO CON IBRA - "L’ho aspettato in palestra a fine allenamento. È arrivato che era buio. Ci siamo abbracciati, e mai avevo abbracciato uno così grosso. Ho conosciuto poche persone così intelligenti e simpatiche. Ma fuori dal campo, perché, dentro, Ibra è un animale. Ed è un complimento, sia chiaro. Io gli ho chiesto di mettere al servizio di una squadra giovane le sue qualità. Lui a me, di fare l’allenatore”.
STADI DESERTI - "Il Milan non è cresciuto per l'assenza di pubblico, ma per il lavoro fatto ogni giorno e gli importanti acquisti fatti da gennaio in poi. Non sono ruffiano: mai visto un pubblico caloroso e comprensivo come il nostro. Con loro saremmo più forti e gli avversari dovrebbero temerci molto di più”.
LEAO - "A Rafa lo frega proprio il linguaggio del corpo. È un ragazzo molto intelligente, ma ogni tanto dà la sensazione di stare in mezzo alle nuvole. È cresciuto tanto, ma si gioca il posto con Rebic e Hauge, perché per essere ambiziosi abbiamo alzato il livello di competitività nella squadra. Mi piacerebbe che avesse più entusiasmo, dovrebbe ridere un po’ di più”.
TIFO DA PICCOLO - "Papà tifava Inter, noi fratelli il Parma. Avevamo l’abbonamento allo stadio, pur se un anno con tutta la famiglia lo facemmo anche per la Reggiana, e non dovrei dirlo perché tra Parma e Reggio c’è una rivalità fortissima. È l’unica squadra che non potrei mai allenare. Ma giocavano in B, e avevamo voglia di calcio di livello un po’ più alto. Maldini ha detto che ho il marchio milanista? Credo che le parole di Paolo si riferiscano allo stile Milan, fatto di signorilità, professionalità e ricerca di un gioco spettacolare. E mi inorgogliscono”.
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