Tutta un'altra storia: il Milan e la Champions, una casa da ricostruire

L'ultimo Milan in Champions
L'ultimo Milan in Champions / JAVIER SORIANO/Getty Images
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Quando si pone Stefano Pioli di fronte a un fatto, la lunga assenza del Milan dalla Champions League e dunque da quella che di fatto è stata a lungo la sua casa, è evidente la volontà dell'allenatore rossonero di svincolarsi dal peso di un passato ingombrante, di un possibile fantasma: sì, il Milan ha una storia gloriosa e ricca di coppe alzate al cielo, sul fronte internazionale, ma adesso la storia è da riscrivere e i protagonisti sono diversi, per carta d'identità e palmares. Una differenza anagrafica, anche rispetto all'ultimo Milan visto in Champions League nel 2013/14, che può comunque avere due volti e persino un risvolto confortante anziché minaccioso.

Stefano Pioli, Ante Rebic, Ismael Bennacer, Alessandro Florenzi
Pioli, Rebic, Bennacer e Florenzi / Jonathan Moscrop/Getty Images

Dove eravamo rimasti?

L'ultima tappa dell'avventura del Milan in Champions League risale al 2014, a cavallo tra febbraio e marzo: erano gli ottavi di finale, una doppia sfida impegnativa contro l'Atletico Madrid di Simeone dopo aver superato un girone con Ajax, Celtic e Barcellona con Allegri in panchina. Era da circa un mese il Milan di Clarence Seedorf, subentrato appunto ad Allegri a gennaio. La doppia sfida coi Colchoneros vide i rossoneri perdere già a San Siro di misura, 0-1 con gol di Diego Costa e qualificazione ai quarti già in salita in vista del ritorno. La sfida di ritorno vide dunque il Milan scendere in campo a Madrid con l'esigenza di rimontare, Abbiati difendeva i pali, la linea a quattro era composta da Abate, Rami, Bonera ed Emanuelson, i due mediani erano Essien e De Jong mentre alle spalle di Balotelli agivano Taarabt, Kakà e Poli (utilizzato da Seedorf in posizione più avanzata del solito). Il vantaggio dell'Atletico portò la firma del solito Diego Costa, raggiunto da Kakà per l'illusorio pareggio rossonero. Il nuovo vantaggio di Arda Turan a fine primo tempo e le reti di Raul Garcia e Diego Costa, doppietta, sancirono un amaro epilogo per i rossoneri che certo non avrebbero immaginato di poter tornare in Champions soltanto 7 anni dopo, in questo 2021.

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Seedorf al Calderon / JAVIER SORIANO/Getty Images

Parabola discendente

La stagione dell'ultima apparizione in Champions dei rossoneri fu di fatto l'inizio doloroso di una parabola discendente epocale, una stagione che vide i rossoneri arrivare all'ottavo posto in classifica, per la prima volta dopo 15 anni fuori dalle coppe europee considerata anche la qualificazione all'Europa League (mero premio di consolazione per chi era abituato a ben altro scenario) sfuggita per pochi punti. A tratteggiare la chiusura di un cerchio è certo il fatto che l'ultimo gol rossonero in Champions lo abbia firmato proprio Kakà, protagonista di momenti certo più alti della storia milanista in Europa e ultimo volto esultante a chiusura di un'era, prima di un infinito limbo. Ma non solo: anche Paolo Maldini permette di tracciare una linea di confine tra due storie diverse, da primo accusatore di quel Milan, ridotto a un fantasma rispetto alle glorie passate, fino ad artefice di un nuovo corso che inizia finalmente a dare i suoi frutti. Un cambio di prospettiva che, evidentemente, traccia un ulteriore solco in una storia già epocale come quella di Maldini in rossonero, scoprendone un nuovo ruolo.

Stefano Pioli, Federico Massara, Paolo Maldini
Paolo Maldini / Jonathan Moscrop/Getty Images

Tutta un'altra storia

Il dato anagrafico è quello che salta maggiormente agli occhi, l'ultimo Milan di Champions (pur povero di stelle rispetto alle squadre viste in passato) aveva in gruppo tra gli altri il trentasettenne Abbiati, il trentatreenne Bonera, i trentaduenni Essien e Kakà, il trentenne Robinho. L'esperienza non era però in quel caso una garanzia di solidità e, osservando a posteriori quel gruppo, è evidente come portasse il sé i segni di una situazione societaria in divenire, senza quei simboli di un tempo e quei protagonisti a cui aggrapparsi nei momenti difficili. Tanti esperti ma non più bandiere, situazione a cui non è certo possibile guardare con rimpianto. Adesso il solco è tracciato e Pioli lo ha ribadito in modo esplicito e corretto: sarebbe fuorviante voler trovare un filo conduttore, voler pensare a questo Milan come diretto discendente di quello glorioso che in quel 2014 esalava gli ultimi respiri. Qui si tratta di un gruppo nuovo, di giocatori ancora da plasmare nella loro dimensione europea: un Milan fatto da nomi diversi, in cui i vari Tonali, Brahim Diaz, Leao e Rebic dovranno dimostrare di poter ricostruire le basi di un racconto nuovo, senza l'ingombro di un pesante e inutile confronto.