Luciano Spalletti: uomo forte, destino debole
"Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli. Non c'è altra strada"
- Luciano Spalletti
Scommetto che questa frase l'avete letta con la sua voce. Questo perché alle massime di Luciano Spalletti ci siamo abituati, tanto che ormai sono entrate nel vocabolario di ognuno di noi. Si sono addirittura fatte largo nella cultura pop, diventando la base per meme e GIF di ogni tipo.
Per certi versi Spalletti può sembrare un profeta, una sorta di santone che prova a diffondere il proprio Verbo nella piazza che lo ospita. La storia si ripete sempre allo stesso modo, come un mantra: viene cacciato da una squadra, trova una nuova panchina, macina punti su punti facendo innamorare i tifosi, poi qualcosa si rompe, finisce la stagione e viene nuovamente accompagnato alla porta. È un circolo vizioso.
Con il Napoli la storia si è ripetuta allo stesso modo. Per sedersi sulla panchina azzurra ha interrotto il proprio periodo sabbatico (una specie di ritiro spirituale probabilmente) che aveva iniziato dopo l'esonero con l'Inter. A disposizione aveva praticamente la stessa rosa dell'anno scorso, ma lui è riuscito a portarla ai vertici del campionato, tanto che ben presto si è parlato anche di Scudetto.
Dopo la delusione del 2017, a Napoli pronunciano quella parola con molta prudenza. Sembra quasi un tabù. Eppure, vedendo il posizionamento in classifica e il gioco espresso in campo, i partenopei avevano tutte le possibilità di ambire al Tricolore.
Adesso invece la banda Spalletti è terza, con la vetta che dista 7 punti a quattro giornate dal termine. Che lo Scudetto fosse diventato irraggiungibile lo si era capito la settimana scorsa, dopo il pareggio casalingo con la Roma. Ma ieri la sconfitta con l'Empoli è stata la più ghiacciata delle docce possibili. È come quando passeggi sul lungomare in una domenica mattina di primavera e ti viene in mente la malsana idea di farti un bagno.
Da 0-2 a 3-2. In otto minuti. Contro un Empoli che non vinceva dallo scorso dicembre, cioè dalla sfida con... il Napoli. È stato come se il Dio del calcio avesse mandato un segnale inequivocabile al suo discepolo: "Tu questo Scudetto non lo devi vincere!". La matematica non li condanna ancora, ma i partenopei si sono rassegnati e in estate lo Spallettone dovrà probabilmente lasciare la panchina.
Nel post partita, il tecnico si è assunto tutte le responsabilità della sconfitta. D'altronde, quando si perde in maniera così rocambolesca la colpa è della poca concentrazione. E se in un momento così delicato della stagione i giocatori non sono sul pezzo, la colpa è dell'allenatore. Su questo non ci piove.
Tuttavia, la Waterloo di ieri pomeriggio - che per i titolisti più simpatici potrebbe anche diventare "Spalletti si è fermato ad Empoli" - sembra solo la parte superficiale di un virus che consuma il Napoli spallettiano dall'interno. Abbiamo approfondito le cause di questo calo clamoroso e inaspettato, ma la sensazione è che l'ambiente remi contro l'allenatore ormai da tempo.
I problemi del Napoli non sono nella squadra in sé o nella profondità della rosa. Altrimenti avrebbe iniziato a floppare già a gennaio, quando - tra infortuni, positivi e partecipanti alla Coppa d'Africa - a Castel Volturno c'erano poche anime. Invece è proprio in quella difficoltà che Spalletti ha dimostrato di essere un bravo allenatore. Nella lectio magistralis che ha tenuto all'Università Federico II, su quella lavagnetta avrebbe dovuto aggiungere che per allenare bisogna essere anche resilienti, bisogna andare avanti e fare del proprio meglio anche nei momenti complicati. E lui sa farlo in maniera egregia.
Dopo una serie di risultati esaltanti, i tifosi del Napoli hanno iniziato a caricare l'ambiente, saturandolo di pressioni. Purtroppo, Spalletti va nel pallone in situazioni simili visto che - palmarès alla mano - non ha mai vinto molto. Sarebbe stato meglio lasciarlo nella condizione di underdog per tutta la stagione, magari evitando di pronunciare la parola "Scudetto" fino all'ultima giornata di campionato.
Al primo passo falso Luciano è stato contestato e con l'aumentare dei punti persi per strada, è aumentata anche la mole di critiche. È un topos che si ripete spesso quello di Spalletti messo in discussione nonostante i grandi risultati. È successo a Roma, a Milano con l'Inter ed è accaduto lo stesso anche a Napoli. Lui raggiungeva gli obiettivi stagionali, ma i tifosi trovavano un comunque un pelo nell'uovo, un motivo per storcere il naso.
Riprendendo il suo mitico aforisma, l'uomo forte non è quello che si crea un destino forte, ma colui che continua a essere forte nonostante un destino debole. Non ce la sentiamo di etichettare Luciano Spalletti come un allenatore perdente. Come succede per i calciatori, neanche per gli allenatori i trofei alzati sono indicativi della loro effettiva bravura. Cosa lo determina allora? Probabilmente ciò che permette a un tecnico di entrare nel cuore dei tifosi sono le emozioni che riesce a suscitare. Anche se Spalletti in persona non sarebbe d'accordo...
"Emozioni? Ma che emozioni? Ma che ca**o dici?"
- Luciano Spalletti
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