Lo Scudetto d'estate o il coraggio di essere impopolari: Milan, una scelta chiara
Uno dei capisaldi del calcio italiano, un aspetto difficile da negare, riguarda la compresenza di due ben distinti Scudetti: quello sul campo da un lato, quello insomma festeggiato dalle piazze piene e dai caroselli, e quello del mercato ad affiancarlo, con un risalto mediatico dall'onda ancor più lunga e dal risalto talvolta persino superiore.
C'è insomma un trofeo corroborato dai punti e dai dati oggettivi, da una parte, ma non manca un premio ben più soggetto al parere del singolo, un contesto in cui - spesso - tutti si pongono come vincitori in pectore, forti di milioni spesi e di sciarpe messe al collo del campione di turno.
Quest'estate più che mai pone davanti a un bivio netto e definito: da un lato chi può vantare la presenza di uno Scudetto sul petto e dall'altro chi, comprensibilmente, accelera i tempi con l'intenzione di ridurre il gap, provando dunque a passare dal mercato per dare nuovo lustro ai sogni di gloria e per riattivare l'entusiasmo dei tifosi.
Proprio il Milan campione d'Italia, in questo senso, ha già compiuto da tempo una scelta di campo e lo ha fatto con tutto il coraggio del caso, quello di risultare impopolare, di tenersi fuori dai titoloni e di apparire (paradossalmente) come outsider a priori, lasciando in mano ad altri le pressioni e l'obbligo di vincere.
Un giochino che ha funzionato alla perfezione nella stagione scorsa e che, seppur in misura diversa, la dirigenza potrebbe riproporre nella prossima annata. Non è necessario leggere troppo tra le righe per capire che colpi di sicuro effetto come Pogba, Di Maria o Lukaku siano distanti dalle prospettive rossonere, dagli orizzonti di Maldini e Massara: acquisti accattivanti per loro natura, nomi che accendono la folla, non sembrano però accendere altrettanto gli uomini mercato milanisti, orientati ormai da tempo su un approccio differente.
Un equilibrio e una voglia di tenersi alla larga dal clamore che, pur lontani da un passato glorioso, si sono rivelati coerenti ed efficaci: in questo senso anche una figura come Stefano Pioli rappresenta un timbro eccezionale di normalità, un outsider appunto che riesce - senza proclami - a tirare fuori il massimo dal suo gruppo.
Il percorso di Pioli, passato in mezzo allo scetticismo iniziale e alle celebri voci su Rangnick prima del riscatto, è la quintessenza del tragitto rossonero: la sostanza prima della popolarità, il campo prima dei lustrini, con tutto ciò che ne consegue (in negativo) a livello di riscontro immediato.
Un discorso valido anche per il tipo di mercato condotto nel recente passato, un mercato fatto di addii pesanti e dolorosi (Donnarumma e Calhanoglu) e di pochi acquisti "di nome": proprio elementi come Kalulu, Tomori, Tonali e Maignan, pur senza l'eco mediatica inseguita dalle rivali, sono diventati un valore aggiunto, hanno contribuito a costruire una spina dorsale vincente.
Il tutto condito dalla capacità di individuare profili adatti per dare esperienza e spessore internazionale, Giroud prima od Origi oggi, a una squadra di giovanissimi, con logiche pecche d'inesperienza soprattutto sul palcoscenico europeo.
Il successo in campionato, d'altro canto, non sembra aver dato alla testa degli uomini mercato rossonero e, anzi, pare rinforzare ancora quella stessa linea di pensiero: le calorose accoglienze e i titoloni possono restare altrove, per proseguire il percorso virtuoso occorre restare oculati e cogliere opportunità sostenibili ma dal futuro garantito (con la Ligue 1 come mercato elettivo, come fonte di risorse dai margini importanti).
Ed è evidente come il profilo di De Ketelaere, adesso, possa fotografare al meglio la continuità strategica del Milan sul fronte del mercato, ben di più di quanto non possano fare nomi di grido (come Isco o Asensio, a titolo di esempio) e destinati sulla carta a un impatto mediatico maggiore.
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