Le scommesse, lo stillicidio mediatico e la cultura dello scandalo

Il caso scommesse non porta a galla una sola criticità: ci permette di riflettere sull'intero sistema dei media.
An official Serie A ball, Puma Orbita, is seen through the...
An official Serie A ball, Puma Orbita, is seen through the... / Insidefoto/GettyImages
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C'era una volta in cui si sciorinavano a memoria formazioni scudettate o, sempre orgogliosamente, si recitavano altrettanto a memoria formazioni iconiche (così si dice) che per uno o per l'altro motivo ci sono rimaste nel cuore, marchiate a fuoco nella mente. Il tempo presente parla un'altra lingua: un domani, verosimilmente, racconteremo di esserci stati "al tempo di Calciopoli", di essersi goduti fino in fondo "il caso Plusvalenze" o la breve vita del progetto Superlega, di essere stati sempre informati sul nome dell'ultimo indagato, di aver saputo tutto sulle norme violate, le penalizzazioni e le squalifiche.

Educazione e viralità

Cambia forma, insomma, la considerazione di ciò che conta, di ciò che rimane nel tempo e resta nell'immaginario, e lo fa in una spirale in cui la rincorsa alla viralità diviene ragione stessa di esistere di un intero sistema, pronto del resto ad attaccarsi (con le modalità di un parassita) al mondo del gossip, degli scandali, degli scoop urlati. Da un lato si rispolvera un qualche impulso educativo, s'intende spiegare ai giovani calciatori di non dover "dilapidare la loro fortuna", dall'altro si cavalca l'onda dell'hype come assoluta divinità a cui votarsi, si resta appesi a intercettazioni, telefonate, fotografie sparate in prima pagina.

Un torbido intreccio tra sport e malavita (nella sua narrazione) che si sintetizza nell'immagine delle forze dell'ordine a Coverciano, nella casa dell'Italia, come apice simbolico dell'intera faccenda. Il tutto, soprattutto, assume un valore mediatico ancor prima che la giustizia abbia fatto il proprio corso, senza curarsi del fatto che l'inchiesta sulle scommesse illegali sia in una fase del tutto embrionale. Ecco dunque che il giovane calciatore diventa il capro espiatorio ideale per far riemergere quello spunto "educativo", per insegnargli come usare oculatamente i propri guadagni e non perdersi nelle immorali spirali del gioco d'azzardo.

Guardare il dito e non la luna

Una sorta di racconto (nelle modalità di una sceneggiatura) organizzato come un meccanismo a orologeria, secondo i tempi dettati della suddetta creazione dell'hype: "Dirò tutto al programma di Nunzia Di Girolamo, subito dopo la partita. Faremo altri nomi e sveleremo la nostra fonte delle notizie… è lo zio di un ex calciatore dell’Inter di Mourinho, amico intimo di Mario Balotelli" ha detto Fabrizio Corona al Corriere della Sera, sottolineando a più riprese di detenere un enorme potere mediatico rispetto al caso in oggetto, rivendicando il proprio ruolo di verità, il proprio contributo allo scoperchiamento del Vaso di Pandora. L'estasi, insomma, dettata dal poter distruggere un balocco e di poterlo fare lasciando tutti col fiato sospeso.

Un grottesco incrocio tra la volontà di istruire sui danni della ludopatia e la necessità di sostenere la logica della viralità, il bisogno di far salire alle stelle l'attesa e di assetare il sistema dei media e quello del pallone, rendendoli fondamentalmente due meri burattini. Ci segue, nel racconto, la convinzione di dover rieducare giovani calciatori, di doverli tenere lontani dal mondo delle scommesse illegali: guardando il dito e non la luna non notiamo come - di fatto - un simile deragliamento del racconto mediatico rappresenti in sé una deriva altrettanto torbida, altrettanto inquietante, in grado di suggerirci tanto di ciò che siamo.