L'esordio in A di Ferrieri Caputi: un delicato e urgente processo di normalizzazione
I passaggi inediti e i punti di svolta pongono di fronte a un buon novero di rischi e di derive potenziali: il principale, è chiaro, diventa quello di celebrare in modo rumoroso e con troppo clamore un evento, rendendolo in sé "straordinario", quasi ad estrarlo da una cornice storica per mitizzarlo, per celebrarne l'unicità (anche in buonafede).
L'esordio di Maria Sole Ferrieri Caputi in Serie A, a dirigere Sassuolo-Salernitana di domenica scorsa, pone proprio di fronte a un tema simile, a un rischio del genere, e del resto è quanto accaduto (per certi versi e tratti di somiglianza) a margine dell'Europeo da dimenticare vissuto dalle Azzurre di Milena Bertolini in estate, il primo giocato da professioniste.
Il doppio rischio
In entrambi i casi citati si parla di crocevia, di momenti fondamentali come l'approdo di un movimento al professionismo o la possibilità per un arbitro donna di dirigere una sfida della massima serie, e in entrambi i casi ci si imbatte in una serie di valutazioni e di giudizi "distorti" proprio dalla portata storica delle questioni.
Il baratro vero, quello da cui rifuggire, è la necessità di ricorrere a due pesi e due misure nel considerare ciò che riguarda il mondo femminile nel calcio (in ogni veste), a rincorrere un costante desiderio di "legittimare" dall'estero - dal mondo maschile, fin qui detentore di una sorta di monopolio - un qualcosa che non necessita di alcun timbro, di alcun bonus ulteriore.
Da un lato, dunque, una superficiale galanteria mediatica potrebbe indurre a non andarci troppo pesanti, quasi con fare paternalistico, d'altro canto c'è chi crede di poter apporre appunto timbri sul professionismo femminile o sulla presenza di direttrici di gara pronte ad affiancare, in numero sempre maggiore, i colleghi maschi.
Tra silenzio e rumore
Anche Gianluca Rocchi del resto, per prendere le distanze da simili derive, ha spiegato quanto sia opportuno non dare troppa risonanza mediatica all'esordio, proprio per entrare in un processo necessario (quanto delicato) di normalizzazione, di pragmatica osservazione legata al merito e al curriculum personale anziché al genere.
Al contempo la stessa diretta interessata ha spiegato, e questo fa capire quanto la normalizzazione possa essere un percorso ricco di ostacoli, che la sua storia potrà senz'altro avere l'effetto virtuoso di ispirare altre ragazze a voler dirigere partite importanti, intraprendendo una strada tutt'altro che preclusa.
Mettere in risalto un crocevia, dunque, senza però inseguire un processo di mitizzazione (o al contrario di giudizio ingeneroso): equilibri delicati ma necessari, che devono (e dovranno sempre più) avere come fulcro valutazioni legate al merito, alla professionalità e alla carriera senza alcun vizio di pregiudizio o di paternalismo. Con l'auspicio che ciò che oggi appare mediaticamente straordinario diventi, semplicemente, una consuetudine di ogni fine settimana calcistico.
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