José Mourinho ha davvero spostato la dimensione della Roma?
Tanti racconti diventano veri nella loro ripetizione, trovano fondamento nel fatto stesso che implicitamente li si diano per buoni e per appurati. Non si tratta neanche di mettere in discussione: ancor prima, insomma, esistono verità monolitiche con cui ci si trova a fare i conti. Tra queste, ad esempio, possiamo citare l'idea secondo cui José Mourinho avrebbe cambiato dimensione alla Roma, trasportandola altrove rispetto a dove si trovava in precedenza.
Un discorso che trova del resto uno specchio nei sussulti che, logicamente, i tifosi giallorossi si sono concessi quando hanno scoperto che Mourinho - proprio lo Special One - sarebbe diventato il nuovo tecnico della Roma, prendendo il posto di un Paulo Fonseca meno ammantato di gloria, di stelle e di onori. Il cambio di dimensione lo si può affrontare da tre diversi punti di vista: da un lato si può trovare il conforto degli esiti sportivi, dall'altro si possono considerare i colpi di mercato e, infine, si può prendere in considerazione lo status del club (anche nella sua percezione indipendente dai risultati).
Vincere aiuta a vincere
Soffermandosi sugli esiti sportivi possiamo basarci su quanto fatto nella scorsa stagione: sesto posto in campionato, eliminazione ai quarti di Coppa Italia e vittoria della Conference League. Proprio il successo nella neonata competizione sposta le valutazioni su un'annata che, altrimenti, sarebbe apparsa del tutto in linea con le tre precedenti (sesto posto e quarti di Coppa nel 2018/19, quinto posto e quarti di Coppa nel 2019/20, settimo posto e ottavi di Coppa nel 2020/21). Anche l'ultima stagione di Fonseca però, al netto di una classifica deludente, offrì un ribaltamento positivo in Europa, con la semifinale di EL raggiunta dai giallorossi
Di fatto possiamo riconoscere come il vero e proprio balzo targato Mourinho abbia fin qui la forma e il nome della Conference sollevata a Tirana, un discorso che ci permette di legarci in modo diretto al tema dello status del club, della sua fama. Vincere aiuta a vincere, si afferma spesso, sottolineando come il successo instauri un circolo virtuoso tale da amplificare quella forza propulsiva portandola all'estrema potenza.
Coesione: noi vs loro
Se c'è un tratto che più di altri sa delineare l'era Mourinho alla Roma, del resto, è la capacità di compattarsi e di mostrarsi uniti anche nei momenti di difficoltà: nel percorso europeo tra Conference ed Europa League i giallorossi hanno dimostrato di saper chiamare a raccolta il loro pubblico soprattutto quando serviva gettare il cuore oltre l'ostacolo. Fin da subito Mourinho ha contribuito a creare a Trigoria un senso di appartenenza, a tracciare un noi vs loro che fosse più evidente del solito, tanto da lasciare a distanza di sicurezza franchi tiratori, spifferi o chiacchiericcio che minasse l'unità.
Nel virtuoso intreccio tra il ritorno al successo dopo tanto tempo e la narrazione dell'identità (unita e non più inesorabilmente frastagliata) si trova probabilmente il vero passo sancito da Mourinho, all'interno del mondo giallorosso, più che nei risultati in senso stretto (non così distanti dal recente passato) e dal mercato. Esatto, proprio dal mercato - pensando a un tecnico così prestigioso - in tanti si sarebbero aspettati immediati fuochi d'artificio.
Per capire quanto la dimensione della Roma in sé sia o meno ribaltata in assoluto basta capire quanto peso abbia Mourinho nella permanenza di un elemento come Paulo Dybala, oltre che nella sua scelta di arrivare: il reale cambiamento si avrà quando un calciatore di quella caratura non collegherà la propria continuità in giallorosso alla presenza o meno di un dato tecnico, il salto effettivo si avrà quando il Wijnaldum di turno non avrà la percezione di detenere uno status superiore rispetto a quello della piazza in cui si trova a giocare.
Europa League: la chiave di tutto?
Diventa evidente come il richiamo di un possibile addio estivo tolga un po' la terra sotto ai piedi: l'associazione diretta tra i sold-out, l'arrivo di campioni e la presenza di Mourinho in panchina è un'arma a doppio taglio e rischia di lasciare un senso di smarrimento nel momento dell'addio, senza dunque generare un'onda lunga in grado di mantenere vivo l'idillio attuale.
In senso stretto risulterà cruciale l'esito dell'avventura Europea: un successo in Europa League, bissando quanto accaduto l'anno scorso in Conference, darebbe un tono del tutto diverso allo status giallorosso e renderebbe ancor più salda la possibilità di apparire realtà e non soltanto meteora estemporanea.
Al contempo occorre tenere alla larga l'idea che, già oggi, la Roma sia diventata grande grazie a Mourinho: qualcosa è stato seminato, un cambio di passo è iniziato ma, al contempo, lo status sportivo del club (soprattutto senza la Champions) resta ad oggi tutto sommato in linea con le gestioni Di Francesco e Fonseca, per quanto possa suonare per certi versi surreale ammetterlo.
Il tutto tenendo vivo un assunto probabilmente cruciale e spesso rimasto erroneamente fuori dal quadro: i cambi di rotta e i balzi in avanti duraturi possono difficilmente legarsi all'uomo solo al comando, dovendo trovare un conforto più solido in una crescita condivisa e in una necessaria chiarezza d'intenti a livello societario. Ingredienti senza i quali, appunto, un potenziale addio del singolo protagonista può davvero risultare fatale, può minare tutto quel che è stato seminato.