Joe Barone non era fiorentino: era la Fiorentina

Firenze si prepara a rendere omaggio a Barone, direttore generale tragicamente scomparso.

Joe Barone
Joe Barone / Andrea Staccioli/GettyImages
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Nei periodi più opachi della gestione Della Valle serpeggiava un malcontento palpabile, a Firenze, una frustrazione che non si fissava soltanto sui risultati o sugli acquisti talvolta non riusciti ma che trovava una scintilla scatenante in una certa freddezza, in un distacco che trapelava dal linguaggio e dall'atteggiamento comunicativo dei dirigenti e di quella proprietà.

Dal focoso Andrea Della Valle degli inizi, del resto, si era passati a un tiepido vivacchiare, una fase di stanca che - comunicativamente - si traduceva nella curiosa tendenza a parlare di Fiorentina ma senza l'articolo davanti. "In Fiorentina..." e non "Nella Fiorentina". Può sembrare una virgola ma non lo era, rappresentava una visione del club più spostata sull'azienda che non sulla realtà sportiva, sulla squadra di calcio rappresentativa di una città. C'era sete di altro, più o meno a ragione e più o meno poggiandosi sulla logica, c'era sete di un fuoco diverso e di un contatto più diretto e umano che sembrava distante.

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FBL-ITA-CUP-FIORENTINA-INTER / VINCENZO PINTO/GettyImages

Quell'entusiasmo si palesò, in silenzio, in un Fiorentina-Genoa del 26 maggio 2019: uno 0-0 all'insegna della paura, la serata più lontana possibile dalla gioia sportiva, l'ultimo atto dell'era Della Valle e il primo seme di ciò che sarebbe stato. Joe Barone fu la prima faccia di quel nuovo corso: già a Firenze da qualche giorno, prima della partita, iniziò ad annusare quella che sarebbe diventata la sua casa, la sua ultima casa. Al Franchi si avvertiva dunque il senso di qualcosa di nuovo che stava per emergere: scatti rubati, qualche parola con chi aveva saputo riconoscerlo, una sciarpa viola al collo per dire di essere già parte di un mondo e non soltanto ospite.

Firenze è lontana dagli USA ma lo è anche dalla sua Sicilia, da Pozzallo: distanza geografica annullata di fatto da due aspetti diversi ma ugualmente potenti. Da un lato una visione del tutto familiare della società viola, approccio rivendicato da Rocco Commisso e dimostrato nei fatti dal 2019 a oggi: il patron viola (così come Barone) si è mosso sistematicamente per difendere i protagonisti di quel mondo, quasi arroccandosi attorno alla propria creatura, talvolta con la rabbia di chi difende un figlio dagli attacchi. Non un gruppo di lavoro ma una famiglia, qualcuno con cui vivere la quotidianità e con cui partecipare alle attività infinite che - oggi - circondano un club sportivo.

E qui si trova l'altro fattore in grado di annullare le distanze: nella capacità di Barone di immergersi nel tessuto sociale del capoluogo toscano, nella sua attenzione per il calcio giovanile, nei più piccoli calciatori seguiti con la gioia di un nonno negli occhi. Una volontà tradotta anche nei progetti Quarto Tempo e Fiorentina Special, nell'intenzione di rendere la Fiorentina inclusiva e aperta alle istanze e ai bisogni della città. La prima squadra, in questo senso, rappresentava soltanto la punta di un iceberg dalle dimensioni infinite e che solo nel ricordo iniziamo a sondare.

Joe Barone
Grosseto v Fiorentina - Pre-season Friendly / Gabriele Maltinti/GettyImages

Un lavoro quotidiano che ha avuto nel Viola Park il proprio apice, attraverso un'attenzione maniacale raccontata solo in parte dal ruolo formale di direttore generale. Quello stesso Viola Park, prima casa vera e propria della Fiorentina in quasi 100 anni di storia, accoglierà domani l'ultimo saluto di Firenze a Barone. L'ultimo saluto a chi non era soltanto fiorentino, a chi - a conti fatti - era la Fiorentina di oggi, in ogni sua venatura, anche nelle più nascoste, vivendo una città fatta di contraddizioni, di continui mugugni, di luoghi di cui innamorarsi, di persone che avrebbero ancora una voglia infinita di litigare con Joe.