Italiano-Fiorentina: la ricerca utopistica di un equilibrio

Un possibile bilancio di Vincenzo Italiano in viola: non un guru ma un aiuto alla crescita del club.

Vincenzo Italiano
Vincenzo Italiano / Gabriele Maltinti/GettyImages
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La Fiorentina si sta avviando verso la fine di un ciclo triennale? Gli indizi in tal senso sono disseminati qua e là e non sono nemmeno troppo distanti dal tramutarsi in prove, pur in assenza di conferme ufficiali (considerati gli obiettivi ancora in ballo). Difficile, però, nascondersi dietro a un dito: Vincenzo Italiano ha già lasciato intendere quale sarà il proprio futuro (con le famose allusioni alle carte già messe in tavola con la proprietà), Pradè ieri - a margine della semifinale di ritorno con l'Atalanta - ha sottolineato come la Fiorentina sia una realtà in cui "tanti allenatori vorrebbero venire".

Né Re Mida né sciagura

Trovare un punto di contatto tra le due posizioni non appare complesso come gioco, l'epilogo che s'intravede è dunque quello di un addio privo di veleni o di ruggini ma, ad oggi, inesorabile. Un bilancio completo potrà arrivare soltanto, per forza di cose, mettendo sul piatto anche l'esito in Conference League (Fiorentina impegnata in semifinale col Bruges) o magari la possibilità, ancora aperta, di raggiungere l'Europa tramite campionato; al contempo - però - l'atmosfera di fine ciclo (comune oggi a tante latitudini calcistiche) rende automatico tracciare un profilo globale dell'avventura di Italiano in viola, fornendoci numerosi elementi da valutare.

Vincenzo Italiano
Il "primo Italiano" in viola / Gabriele Maltinti/GettyImages

La ricerca di un equilibrio nelle valutazioni appare in questo senso tanto urgente quanto utopistica. Urgente poiché, nel caso specifico, occorre prendere le distanze sia da chi percepisce Italiano come un novello guru nel nostro calcio, scomodando i grandi nomi della panchina a livello internazionale, che dai detrattori militanti, che mettono in discussione ogni scelta fatta, ogni sostituzione, ogni tipo di input dato alla squadra. Italiano non è stato il Re Mida della Fiorentina, fin qui, e di certo non ne è stata la sfortuna: come spesso accade (per quanto poco accattivante sia come approccio) la verità sta nell'incrocio dei due estremi, coi fatti che - in questo caso - ci aiutano a dimostrarlo.

Un primo bilancio (aspettando la Conference)

Sul piatto della bilancia, fin qui, abbiamo un settimo e un ottavo posto, risultati che verosimilmente non si distaccheranno dall'epilogo in campionato della stagione in corso (nella migliore delle ipotesi, considerando il nono posto attuale). Il celebrato "ritorno in Europa" di questi anni non si lega in sostanza a un vero e proprio exploit (come quelli vissuti da Atalanta da anni e dal Bologna in questa stagione) ma di un virtuoso effetto della neonata Conference League. Si tratta senz'altro di un percorso di crescita, dopo tre stagioni di grandi difficoltà che hanno visto i viola - tra l'altro - anche invischiati a sorpresa nella lotta per salvarsi, di un percorso da premiare che trova nel rendimento nelle coppe un rafforzamento evidente.

Il peso di due finali disputate lo scorso anno, tra Coppa Italia e Conference, riesce in parte a spostare il senso di "normalità" altrimenti applicabile al triennio. Si è visto con Mourinho e la sua Roma quanto, anche in una coppa spesso tacciata di poco prestigio, possa contare un successo, quanta spinta possa dare anche in proiezione futura (per esperienza, per introiti e per portare alla ribalta internazionale un marchio). Per onestà intellettuale occorre anche rendersi conto di quanto i due percorsi della Fiorentina, nella scorsa stagione, non abbiano comportato vere e proprie imprese in senso stretto. Per arrivare in finale di Coppa Italia i viola hanno superato Sampdoria, Torino e Cremonese, in Conference per arrivare a sfidare il West Ham a Praga la Fiorentina ha eliminato Braga, Sivasspor, Lech Poznan e Basilea.

Un percorso da proseguire

Viola solo fortunati coi sorteggi, dunque? Non esattamente, le sfide vanno comunque affrontate e spesso in contesti caldi e insidiosi soprattutto a livello europeo, ma non è possibile qualificare come "imprese sportive" quelle dello scorso anno, perlomeno in assenza del timbro finale rappresentato dalla Coppa. Un timbro che può però ancora arrivare, con la Conference League in corso, e che potrebbe realmente spostare le valutazioni sull'intero triennio, non rendendolo soltanto di normale crescita (com'è fin qui) ma consegnandolo in qualche modo alla storia del club.

A corner kick flag bearing the logo of ACF Fiorentina is...
Fiorentina / Nicolò Campo/GettyImages

Il dato che rimane, al di là di risultati in linea col livello della rosa e con le ambizioni della società in questo specifico momento storico, è chiaramente quello di un approccio propositivo e coraggioso, di una squadra mai conservativa e costantemente proiettata sul desiderio di controllare ogni partita (con tutte le controindicazioni del caso). Un percorso che va letto a sua volta come crescita, aspetto che farà senz'altro da faro anche nell'individuazione di un nuovo tecnico, provando a seguire un DNA già emerso con Montella tra il 2012 e il 2015 e riproposto ora da Italiano, con una scelta che - come approccio - segni una continuità.

Al netto di un finale ancora da scrivere, con la Conference come ago della bilancia, si può già affermare come Italiano abbia accompagnato un percorso di crescita e di ritorno della Fiorentina in dimensioni più in linea con la sua storia, senza arrivare a picchi da impresa sportiva (come quelli di Atalanta e Bologna) ma ponendo le basi perché questo possa accadere già nei prossimi anni, in un tragitto fisiologico di ogni progetto sportivo che possa durare e che non si bruci nell'immediato.

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