Il coming out di Jankto e l'ipocrisia (consapevole) di chi chiede silenzio

Jankto
Jankto / Quality Sport Images/GettyImages
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"Ciao, sono Jakub Jankto. Come tutti ho i miei punti di forza, ho le mie debolezze, ho una famiglia, ho degli amici. Ho un lavoro che ho sempre fatto al meglio, per anni. Con serietà, professionalità e con passione. Come tutti voglio vivere la mia vita liberamente, senza paura, senza pregiudizi e senza violenza, con amore. Sono omosessuale e non voglio più nascondermi. "

Jakub Jankto

Se c'è un tratto comune che si può facilmente individuare tra le tante storie di chi sceglie di svelare una parte di sé, di aprire una parentesi o una finestra sulla propria vita al di fuori della professione svolta, è un coro di voci che si leva in risposta e che - in estrema sintesi - chiede "che bisogno ci sia di parlarne". Un coro spesso sguaiato, maleducato nella sua modalità di espressione, ma altrettanto sovente mascherato da composta e ragionata richiesta di silenzio.

In sostanza, basta del resto leggere senza troppo sforzo i commenti social relativi al coming out di Jankto, il dilemma che viene portato alla luce è quale sia il bisogno di soffermarsi su dettagli intimi nel momento in cui si vorrebbe normalizzare, anche nel calcio, il superamento di dinamiche omofobe o di retaggi simili. Che c'è di strano? Allora perché non iniziamo tutti a raccontare "cosa abbiamo mangiato per pranzo" (sì, è un commento vero)? Non esistono soltanto il cameratismo becero e l'infantile tendenza ai risolini e alle occhiate storte, la direzione alternativa e persino più minacciosa (poiché strisciante) riguarda una richiesta di silenzio, una valutazione sull'opportunità di parlare, sui motivi di farlo.

UC Sampdoria v Hellas Verona FC - Serie A
Jakub Jankto / Getty Images/GettyImages

Una tendenza che da un lato nasconde un'accusa (di fatto quella di essere esibizionisti, di voler reclamare attenzione su di sé) e - ancor di più - prova a deviare lo sguardo dal nodo centrale del discorso. "Perché allora non raccontiamo tutti cosa abbiamo mangiato a pranzo?", chiedono. Proviamo a immaginarlo: se qualcuno iniziasse a raccontarlo, a sciorinare il menù del giorno, diventerebbe per questo oggetto di critica o di biasimo degli altri? Se Jankto avesse, in una storia, raccontato di essersi mangiato una pizza, ad esempio, qualcuno avrebbe sentito la necessità di dimostrargli sostegno o (al contrario) si sarebbe sentito in diritto di riderne?

Andiamo nel vivo della questione, alla sua dimostrazione pratica.

"Ma che ci frega a noi. Pure se eri scemo non ci fregava nulla."

" Perché una cosa normale dovrebbe fare tutta questa notizia?"

"Non era il 2022 l'anno in cui andava di moda dirlo?"

Un rifugio che non funziona

La retorica che muove simili commenti (sì, sorprenderà ma c'è una retorica che li muove) non è quella della più lampante e diretta omofobia: non si tratta insomma di attacchi rivolti esplicitamente all'orientamento sessuale del calciatore. Il punto cardine che emerge è il disinteresse (pretestuoso) per la questione, la volontà ferma di derubricarlo ad affare privato, a questione "da non dire" per non diventare teatrali, per non reclamare un proprio palcoscenico.

Si tratta, del resto, della stessa omertà di chi sa benissimo di essere complice di affari loschi e, anziché prenderne le distanze esplicitamente, preferisce sminuirli, preferisce chiudersi dietro un "che bisogno c'è di dirlo?". Tirando fuori, di solito, anche un'espressione risentita se qualcuno osa farsi delle domande.

Si tratta di una forma nascosta, perlomeno nelle intenzioni, di quella stessa deriva omofoba più diretta e palese: dirsi omofobo suona poco carino, stride, diventa dunque più pulito ed elegante chiedere agli altri "perché ne parlano". E chissà se, realmente, nell'utilizzo di questo registro gli autori si sentano arguti, chissà se davvero siano convinti di uscirne con eleganza o se - in cuor loro - realizzino che l'eco dei pensieri d'accusa si sente forte e chiaro.

Il fulcro della questione, del resto, s'individua facilmente anche solo ascoltando le parole di Jankto nel video diffuso sui social, parole scelte con cura che spiegano ancora una volta quale sia il motivo per cui parlarne è necessario: paura, pregiudizi, violenza, nascondersi. Se avesse raccontato davvero di essersi mangiato una pizza avrebbe scelto lo stesso registro? Probabilmente no.