Giuntoli come uomo della provvidenza per la Juventus: dimentichiamo qualcosa?
Eroi e uomini della provvidenza fanno parte inesorabilmente dei diversi momenti di una stagione calcistica, taumaturghi pronti a prendere per mano una compagine incerottata per condurla alla sicura guarigione. La stagione del miracolo Napoli, col terzo Scudetto della storia recentemente messo in cassaforte, fa sì poi che la cornice partenopea offra una luce diversa agli artefici di quel successo.
Un Luciano Spalletti finalmente vincente, dopo aver convissuto a lungo con la nomea di eterno secondo, ma anche (se non soprattutto) un Cristiano Giuntoli in grado di rappresentare più di chiunque altro, in concreto, quell'eterno auspicio di "vincere in maniera sostenibile", il sogno di abbinare i risultati sul campo e i conti in ordine.
Contesto diverso e stessi risultati: l'equazione regge?
Proprio Giuntoli appartiene ormai, mediaticamente, a un racconto diverso: da artefice del trionfo partenopeo a prossimo direttore sportivo della Juventus che verrà, coi soliti "dettagli da sistemare" per arrivare in bianconero e con un carico di aspettative che, chiaramente, si preannuncia ingombrante. Il dado pare ormai tratto e il giudizio tracciato: lui è l'uomo giusto per rilanciare una Juve in crisi d'identità o comunque a caccia di nuove certezze, di nuovi punti di riferimento.
In sostanza l'auspicio che emerge da una simile investitura passa dall'idea che quanto fatto a Napoli venga tradotto, in automatico, nel nuovo contesto: intuizioni di mercato coraggiose (come Kvaratskhelia), colpi chiusi in extremis quando ormai sembravano sfumati (come Kim), rincalzi arrivati in sordina ma capaci di rivelarsi più che mai utili alla causa.
Il tutto in un'armonia totale con le altre parti in causa, con la proprietà e col tecnico. Una pretesa già in sé puramente aleatoria, fondata su certezze tutt'altro che scontate: si chiede a un regista di girare lo stesso film cambiando troupe, casa di produzione e scenografia, si chiede a un cuoco di cucinare lo stesso piatto utilizzando ingredienti diversi, cambiando cucina e attrezzatura.
Aspettando Godot
Accanto a una pretesa come minimo forzata, poi, emerge un certo vizio bianconero di allontanarsi da sé per provare a seguire un ipotetico "altro", una ricetta vincente colta altrove. Una sterzata che ci rimanda a quanto accaduto in passato con l'arrivo di Sarri in panchina, all'idea di un restyling nel nome del bello e a caccia del gioco che - nei fatti - si tradusse soltanto in un corto circuito, nell'ennesima crisi d'identità finita tra i mugugni (nonostante lo Scudetto).
A posteriori diventa fin troppo semplice immaginare i nuovi Kim e i nuovi Kvaratskhelia come toccasana in chiave bianconera ma, nei fatti, occorre fare i conti con le aspettative e le ambizioni che la Juve porta necessariamente in sé: il Napoli non aveva alcun obbligo di vincere e, come ammesso da Spalletti, aveva nella partecipazione continuativa alla Champions League il solo specchio con cui misurarsi, senza ossessioni diverse.
Un tipo di mercato come quello condotto da Giuntoli, con addii pesanti sostituiti da outsider tutt'altro che conosciuti al grande pubblico, diventa audace già in un contesto che punta al quarto posto: è lecito immaginarlo altrettanto efficace dove, di fatto, si parla di fallimento in caso di secondo posto?
La Juventus resta spesso vittima di un certo pudore quando si tratta di specchiarsi e riconoscersi: non vuole pensarsi instant-team ma vuole risultati da instant-team, vuole parlare di "linea verde" ma ribadisce il peso dell'esperienza, sottolinea come "vincere sia l'unica cosa che conta" ma poi mugugna se il gioco non brilla (qualsiasi cosa possa significare).
Una chiarezza di idee e di intenti (per rompere quelle contraddizioni) che passa in modo evidente dal discorso dirigenziale a monte, da una linea che appaia chiara e condivisa anche sul sostegno o meno di un progetto tecnico. Senza continue sterzate e senza il bisogno di inseguire il nome che, in un dato momento storico, suona bene, come fosse realmente la panacea di tutti i mali (per poi renderlo solo il nuovo capro espiatorio su cui, eventualmente, far ricadere le responsabilità).