Flop Moise Kean alla Juve? No, è solo caduto in una doppia trappola
La stagione della Juventus, al di là dei risultati ottenuti, è stata fin qui caratterizzata dalle critiche quasi unanimi al gioco espresso e da un andamento a dir poco ondivago nelle considerazioni sui giocatori a disposizione di Allegri: chi è partito male per poi riprendersi, chi sembrava in rampa di lancio ma è finito ai margini, in pochi insomma sono riusciti a convincere dall'inizio alla fine, senza finire nel mirino di tifosi e addetti ai lavori.
Un contesto in cui "tutti devono dimostrare di essere da Juve", citando Arrivabene ed Allegri stesso, tanto da arrivare a mettere in dubbio anche la posizione di Paulo Dybala, indicato fino a pochi mesi fa come un sicuro pilastro dei bianconeri anche nei prossimi anni.
In un quadro simile, da esame perpetuo e senza nessuno che possa tirarsene fuori, è evidente che i nuovi acquisti nella sessione estiva scorsa abbiano subito un ulteriore smacco, quello di arrivare in un momento delicato dovuto all'addio di CR7 e nella prima estate, dopo un lungo ciclo, vissuta senza il titolo di campioni d'Italia in tasca.
La doppia trappola
Il ritorno di Moise Kean in bianconero si può leggere dunque anche attraverso questa lente, individuando due ostacoli presenti già a priori con cui, a tutti gli effetti, il classe 2000 si è trovato a fare i conti. Da un lato abbiamo un inizio di carriera da vero e proprio enfant prodige, con quell'esplosione-lampo nel 2018/19 e quella serie impressionante di gol che fecero gridare unanimemente al miracolo, alla nascita di una stella.
Un'esplosione da contestualizzare, sicuramente lontana anni luce dallo scenario presente: lo scenario era quello di una Juventus saldamente riconosciuta come padrona del contesto italiano, una squadra in grado di conquistare il titolo con ben 5 giornate di anticipo sulla fine del campionato.
Una formazione, guidata per il quinto anno da Allegri, che poteva contare su certezze consolidate e su un Cristiano Ronaldo in più: CR7 come stella, sì, ma anche come accentratore di attenzioni e di pressioni, come punto fermo attorno a cui ruotava il resto. Moise Kean aveva vissuto la stagione 2017/18 in prestito al Verona con l'intenzione, poi, di tornare alla base e di dimostrare a tutti di poter dire qualcosa di importante anche in bianconero, contesto in cui arrivò ad appena 10 anni, compiendo con successo la trafila delle giovanili e segnando a raffica.
L'effetto CR7
L'escalation che ebbe luogo tra la doppietta con l'Udinese e i gol a Empoli, Cagliari, Milan e SPAL propose dunque un nuovo gioiello sul palcoscenico del calcio europeo, un elemento prezioso quando si trattava di far rifiatare CR7, capace di rispondere presente nonostante i diciotto anni di età.
Totalmente diverso il panorama proposto dalla Juve 2021/22, diverse le pressioni e ribaltata la prospettiva: non più un giovane con niente da perdere, con un domani da sogno, ma un protagonista chiamato a dimostrare tanto, a togliersi di dosso l'etichetta di promessa per diventare una realtà in tutto e per tutto. Aggiungiamoci anche la necessità di un riscatto dopo anni altalenanti, pensando soprattutto all'esperienza all'Everton con ripresa successiva a Parigi, e un fattore decisivo: l'effetto CR7.
Perché, perlomeno in un racconto dei fatti sicuramente falsato e superficiale, il ritorno in bianconero a quattro giorni dall'addio di Cristiano in direzione United era sufficiente per parlare di "sostituto" dello stesso CR7, per trovare una connessione tra due elementi in realtà ben distinti e distanti. Il peso delle aspettative (totalmente ribaltato rispetto al 2018) e il timbro ingombrante, insostenibile, di dopo-Ronaldo hanno posto le basi per un impatto che - per certi versi - non poteva che tradursi così nei fatti.
Atene piange, Sparta non ride
Riallacciamoci poi al contesto di questa Juventus, una squadra in cui fin dall'inizio della stagione si sono susseguiti atteggiamenti critici nei confronti di protagonisti vecchi e nuovi, in cui ogni partita sbagliata spinge a rivedere al ribasso quanto di buono detto e pensato di un calciatore fino a poche settimane prima.
Una sorta di crisi d'identità perenne che inghiotte tutti e non fa prigionieri, niente che insomma potesse risparmiare un 2000 come Kean dopo aver investito elementi del calibro di Szczesny, De Ligt, sostanzialmente tutto il centrocampo, Dybala e Morata. Impossibile dunque puntare il dito in senso assoluto, pur sottolineando le occasioni perse e le chance non sfruttate a dovere.
Resta poi da rimarcare come Kean non abbia trovato grande spazio, con continuità, trovandosi spesso a dover sfruttare al massimo ritagli di partita e spezzoni. In campionato ha collezionato 641 minuti suddivisi su 16 presenze, solo 8 delle quali dal primo minuto, risultando appena il diciassettesimo della rosa per minuti in campo, in Serie A.
Diventa dunque evidente come la panoramica globale, soprattutto sul reparto avanzato, non permetta di vedere Kean come un'infelice eccezione rispetto a compagni di squadra che brillano: il passato del giocatore, del resto, ci permette di trovare ancora margini per una ripresa, spazio per risultare di nuovo decisivo come accaduto in passato e per non cadere inesorabilmente nella trappola del mercato come soluzione di ogni male.
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