La favola del 20% e un impatto a tutto tondo: essere allenatore nel 2021

Mourinho e Italiano
Mourinho e Italiano / Giuseppe Bellini/Getty Images
facebooktwitterreddit

L'interrogativo sul peso specifico dell'allenatore nelle sorti di una squadra percorre in modo regolare la storia del calcio, lo fa attraverso pareri contrastanti e rivendicazioni più o meno legittime, miti che si creano e resistono opposti ad altri che crollano nel giro di pochi anni, spesso sotto il peso dei risultati. La stagione di Serie A appena iniziata, con una prima giornata che arriverà oggi a conclusione, può fornire una chiave di lettura valida, una nuova lente per osservare l'impatto di un allenatore su un gruppo e su quel che la squadra mette in mostra sul campo, traducendo nei novanta minuti il lavoro settimanale e la preparazione svolta in estate. Si va oltre all'ormai consueta classificazione tra "giochisti" e "risultatisti" per capire, nel rapporto allenatore-squadra, quale possa essere la forza dell'impatto e si oltrepassa, almeno nelle intenzioni, il vecchio adagio secondo cui un tecnico conterebbe al massimo un 20% del complesso.

Una stagione particolare

Perché la stagione di Serie A 2021/22 fornisce uno spunto inedito e ulteriore per interrogarsi sul ruolo dell'allenatore, sul suo spazio all'interno della squadra? Di fatto a causa di un mercato del tutto peculiare, spesso paralizzato o ridotto a un paio di colpi, senza rose rivoluzionate e senza quel continuo viavai che spesso caratterizza ogni sessione di mercato. I conti da riordinare dopo un anno in perdita, senza tifosi allo stadio, ha spinto le proprietà a ripensare il concetto di rinnovamento e a spostare la consueta logica del mercato come soluzione di tutti i problemi. Una situazione ben chiara agli occhi di tutti: Inter, Juventus, Roma, Napoli e Lazio, restando solo alle big, hanno cambiato guida tecnica e, al contempo, non si sono mosse in modo altrettanto radicale per variare i connotati della rosa, a prescindere dal rendimento della passata stagione. L'allenatore, in questi casi come in altri, appare come il detentore di grandi responsabilità, di continuità o di riscatto che siano, e finisce più che mai (e giustamente) al centro del discorso, ancor di più rispetto al nuovo campione acquistato o alla curiosità per il prossimo colpo di mercato.

Massimiliano Allegri, Luciano Spalletti
Allegri e Spalletti / Alessandro Sabattini/Getty Images

Un esempio pratico: Mourinho e Italiano

Già la prima giornata ha consegnato un esempio diretto di quanto la figura dell'allenatore riesca ad essere fulcro di un nuovo corso, portatrice di concetti diversi e di un approccio per certi versi opposto a quello visto in precedenza. Dall'insediamento sulle rispettive panchine è passato poco tempo, pensando a Mourinho e a Italiano, ma in entrambi i casi i tratti identitari di chi dirige la squadra sono apparsi ben impressi e visibili: da un lato una formazione cinica, capace di ottimizzare al meglio quanto creato e di far male con tre reti per certi versi simili, col centravanti in qualità di rifinitore e l'inserimento dei centrocampisti, tre reti sul filo del fuorigioco (ma regolari, come testimoniato dal VAR) arrivate approfittando di una difesa viola particolarmente alta fin dalle prime battute. Una vittoria che ha il volto di Mourinho, senza un dominio del gioco dal fronte meramente "estetico", senza meccanismi avvolgenti o un possesso insistito ma con solidità, carica agonistica e fame, al netto di qualche errore tecnico di troppo in uscita e di un approccio non del tutto confortante in superiorità numerica. Dall'altra parte la Fiorentina, con Nico Gonzalez e Maleh come uniche novità nella rosa rispetto all'anno scorso, apparsa più intraprendente sia in fase di non possesso che col pallone tra i piedi, lontana da quella prudenza portata all'estremo vista a più riprese nelle scorse annate. In poco tempo, anche in questo caso, la squadra ha mostrato di poter assorbire qualcosa del proprio tecnico, di avere una faccia diversa pur senza nuovi interpreti.

Jose Mourinho
José Mourinho / Carlos Rodrigues/Getty Images

Non solo campo

Il peso specifico di un tecnico, dunque, si esprime innanzitutto nella capacità di entrare nella testa dei giocatori e di spostare equilibri che parevano immutabili, fornendo motivazioni inedite o rinnovando un entusiasmo che pareva sopito. Non mancano però tracce diverse, disseminate altrove, tali da enfatizzare ancor di più la centralità della figura del tecnico, ben al di là dei vecchi adagi e dei luoghi comuni: a ognuno il suo ruolo, certo, ma d'altro canto è evidente la possibilità che un tecnico riesca a lasciare un'impronta chiara anche sull'identità a tutto tondo di un club. Gli esempi in tal senso hanno fatto storia o la stanno facendo tuttora: Gasperini ha dato un contributo essenziale alla crescita vertiginosa dell'Atalanta, uno dei miracoli sportivi degli ultimi anni, trovando la chiave tattica giusta e prescindendo spesso da questo o quel singolo interprete, Conte ha ad esempio portato a compimento quel percorso che già a priori voleva realizzare all'Inter, Pioli ha saputo gestire al meglio la rosa a disposizione diventando un punto di riferimento per i giocatori più giovani e "accompagnando", senza strappi o inutili lotte di potere, il rapporto coi giocatori più esperti e affermati. E tornando all'impatto rapido di chi è arrivato in estate è evidente, poiché reso esplicito, quanto Mourinho voglia vivere da protagonista assoluto un processo di "ristrutturazione" che passi dalla dirigenza, dallo staff, dai giocatori e che tocchi l'anima più profonda di Trigoria, per trovare una mentalità realmente condivisa e remare dalla stessa parte.

Torino FC v Atalanta BC - Serie A
Gian Piero Gasperini / Stefano Guidi/Getty Images

Ci vuole pazienza

Detto della volontà di imprimere fin da subito una nuova direzione, volontà talvolta tradotta felicemente negli esiti, è chiaro che il tempo risulti un fattore chiave e imprescindibile: il miracolo estemporaneo può succedere ma resta l'eccezione, più comune è l'idea di un processo da costruire nel tempo, senza forzare e senza attendere tutto e subito. Anche in realtà troppo spesso a metà del guado, parlando di piazze come Torino o Fiorentina, occorrerà ad esempio che Juric e Italiano abbiano modo di sbagliare, di assorbire le prime batoste e di percepire comunque la fiducia attorno a sé, rivendicando a pieno titolo un ruolo centrale, con tutta la responsabilità che ne deriva. Una stagione particolare come questa può concedere in fondo una risorsa: dimostrare in modo ancor più lampante quanto la funzione di un allenatore vada ben oltre la mera gestione di un gruppo di singoli, quanto una realtà sportiva possa realmente diventare lo specchio di un uomo e della sua mentalità.