Da San Siro al nuovo Franchi: l'eterno scontro tra storia e opportunità
Iniziamo con una semplice domanda: uno stadio può essere considerato un monumento?
Non parlo di un semplice stadio di provincia, ma di uno glorioso in cui le squadre che ci giocano hanno scritto pagine di storia calcistica. San Siro ad esempio è un sito di interesse nazionale?
Alla domanda non c'è naturalmente una risposta univoca, anche se molti turisti (soprattutto italiani) cercano sempre di "individuare" lo stadio di una città quando si trovano su una terrazza panoramica.
Non ci crederete...o forse sì. Però sono molti coloro che si recano in uno stadio come se fosse un luogo di pellegrinaggio. Una specie di cattedrale laica che per mantenere intatta la propria sacralità dev'essere lasciata immacolata.
In questo modo però appare difficile o addirittura impossibile andare a fornire la Penisola di impianti moderni, in cui la tribuna non disti 300 metri dal campo. Con la burocrazia italiana si è già scontrato Rocco Commisso, il quale dal giorno del suo insediamento ha promosso un processo di internalizzazione della Fiorentina che, oltre ai risultati sportivi, passa necessariamente per step come il restyling dello stemma e il nuovo stadio.
L'Artemio Franchi è sotto la tutela dei Beni Culturali e se loro non danno il permesso, non si possono nemmeno ridipingere le porte dei bagni dello stadio. Per un imprenditore made in USA come Commisso, è inconcepibile l'idea di non poter distruggere una cosa vecchia e - parole sue - "schifosa" per costruirci al suo posto un impianto esteticamente più bello, più gradevole per i tifosi e più redditizio per la società.
La crescita del movimento calcistico italiano, tanto discussa negli ultimi giorni, passa anche per le infrastrutture messe a disposizione di chi quel movimento lo vive ogni domenica. Pagare 30€ per assistere a una partita col binocolo su seggiolini sporchi e servizi deprimenti ti fa passare la voglia di andare allo stadio. Poi non lamentiamoci se crescono i "tifosi in pantofole".
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