Da Amsterdam a Venezia: una censura meccanica che spegne la fantasia
Accadono talvolta curiosi intrecci di destino che trovano, in questioni calcistiche, una sorprendente fotografia: quante volte, in chiave turistica, si sente affibbiare ad Amsterdam l'etichetta di Venezia del nord? E infatti è proprio sull'asse che parte dalla Laguna e conduce alle rive dell'Amstel che si dipana una storia fatta di automatismi eccessivamente severi, di tagli anche irragionevoli fatti in nome di un regolamento di base sensato, ci mancherebbe, ma talvolta piuttosto miope. I casi di Ajax e Venezia, appunto, risultano emblematici e curiosi, oltre che i più attuali, per capire quanto talvolta i regolamenti possano andare a scombinare i piani (leciti) di un club a livello di maglia e di simboli.
O l'uno o l'altro
Nel caso del Venezia sarà balzato agli occhi di tanti un curioso aspetto, osservando la prima maglia del club veneto nelle prime tre giornate di campionato e in Coppa Italia: semplicemente non c'è il logo, nessun leone dorato posto sul cuore a completare una divisa, quella realizzata da Kappa, tra le più eleganti dell'intero panorama della Serie A. Il motivo è regolamentare: "Lo stemma della Società può essere apposto in forma applicata, ricamata, stampata, ecc., una sola volta sulla maglia, una sola volta sui pantaloncini, una sola volta su ciascun calzettone e una volta in ognuna delle cifre che compongono il numero apposto al centro della schiena". La presenza della scritta Venezia, al posto del main sponsor al centro della maglia, fa sì che il logo sia considerato ridondante per motivi di regolamento e che dunque non possa trovare spazio sulla maglia stessa. Il Venezia avrebbe dovuto dunque decidere tra il logo e il nome della città riportato sulla maglia, rinunciando a uno dei due elementi: nonostante i contatti attivati prontamente, però, la situazione è rimasta invariata e la pesante assenza è ancora evidente.
Un no al romanticismo
I riferimenti romantici che connettono storie calcistiche ad aspetti culturali slegati apparentemente dal pallone sono merce rara, perle anche da preservare per coltivare un senso di identità e di diversità: i club non sono tutti uguali, proprio come le persone, e portano con sé discorsi diversi dal semplice pallone che rotola sul campo. Capita poi che un club di prestigio come l'Ajax, realtà di sicuro fascino anche al di fuori dei confini olandesi, cavalchi una di queste storie e le imprima sulla maglia (sulla terza, in questo caso): la divisa Adidas per la stagione 2021/22 è di fatto dedicata a Bob Marley e celebra il legame tra i Lancieri e l'artista giamaicano. Un legame venuto a crearsi quanto i tifosi dell'Ajax decisero (nel 2008) di adottare il brano Three Little Birds come inno, con tanto di apprezzamento esplicito e sentito da parte di due dei figli di Marley (Ky-Mani e Cedella). Una combinazione di colori direttamente connessa alla bandiera rastafariana e tre piccoli uccellini sotto al colletto, nella parte posteriore, vanno dunque a rendere omaggio a tale feeling: o meglio andrebbero a rendere omaggio, considerando l'intervento della UEFA a gamba tesa, tale da impedire l'utilizzo dei three little birds. Il motivo? Sono simboli diversi dal logo del club e dallo sponsor, non possono dunque comparire sulla maglia del club, almeno in campo. I tifosi potranno dunque acquistare la maglia ma, nelle sfide ufficiali, si è reso necessario rivederle e andare a togliere un riferimento simbolico non invadente ma comunque significativo.
Un atteggiamento miope
Il ruolo di un regolamento non può essere certo messo in discussione in senso assoluto, anche pensando alle linee guida sulle maglie, poiché l'estremo opposto significherebbe un'anarchia vera e propria e, al contempo, una possibile deriva in mano agli sponsor di turno o ai capricci di disegnatori troppo audaci. Al contempo è necessario comprendere quanto determinate scelte, soluzioni individuate dai club insieme agli sponsor tecnici, possano rappresentare un valore aggiunto e non una minaccia vera e propria: esistono insomma casi che meritano eccome un'eccezione, un giudizio meno meccanico e più pronto ad accogliere ragioni identitarie e culturali che meriterebbero un loro spazio sui campi d'Europa.