Crisi blaugrana: discesa forzata nella mediocrità e qualche traccia per risalire

Crisi blaugrana
Crisi blaugrana / Quality Sport Images/Getty Images
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Ci sono realtà e momenti in cui un pareggio strappato in extremis, grazie a un gol del tuo centrale proiettato in avanti alla disperata, fanno esplodere di gioia e spostano gli equilibri di una stagione, invertendo la rotta e dando la spinta ideale di motivazione. Ma la storia non è questa e il caso non è decisamente questo: l'1-1 di Araujo nel finale contro il Granada, al Camp Nou, poco può fare rispetto alla situazione abnorme che circonda il Barcellona, alla sua crisi strutturale tra società e terreno da gioco. Una crisi con affaccio diretto sull'abisso, non una questione estemporanea da risolvere con un colpo di spugna ma una vera burrasca che ha di fatto travolto una delle realtà più iconiche e influenti dell'ultimo ventennio, capace di superare i confini nazionali e di rappresentare un'idea a lungo virtuosa di fare calcio.

Ronald Araujo
Il pari di Araujo / Eric Alonso/Getty Images

Dall'orlo agli abissi

In tanti si sono interrogati sulle ragioni che hanno condotto il Barcellona a percorrere il tragitto infelice che dalle stelle porta alle stalle, un'analisi che di certo offre spunti numerosi e non così nascosti tra le righe. La storia recente del club blaugrana, in sostanza dal 2015 in poi, offre una galleria degli errori con pochi pari, un best of degli acquisti a vanvera e degli investimenti folli e sconsiderati: un discorso che ricorda da vicino chi si ritrova in mano un patrimonio dal valore inestimabile e perde così il senso delle conseguenze, della realtà e della responsabilità concreta delle scelte.

Ousmane Dembele, Philippe Coutinho
Dembélé e Coutinho / Soccrates Images/Getty Images

Una discesa agli inferi palesata attraverso acquisti costosi rivelatisi poi fallimentari nel momento della successiva cessione del calciatore, casi come quelli di Aleix Vidal o Arda Turan (preso per 34 milioni, partito da svincolato) sono già emblematici e precedono situazioni ben più clamorose. Semedo, Lenglet, André Gomes e Malcom sono tutti elementi costati tra i 35 e i 40 milioni, Griezmann è costato 120 milioni ed è tornato all'Atletico Madrid per 40 (questo il valore del riscatto fissato), Dembélé e Coutinho hanno comportato un investimento complessivo vicino ai 300 milioni di euro. Tutte situazioni che, di fatto, raccontano di azzardi, scelte avventate e svelano l'immotivata illusione che ai milioni spesi corrisponda poi una sicura resa sul campo.

Tutto in un addio

Ma il carico simbolico e per certi versi esplicativo più potente è quello rivestito dall'epopea di Leo Messi, dal suo tira e molla nell'arco di un anno in merito al futuro, dal suo ripensamento e dalle sue lacrime. Una situazione surreale che ha visto uno dei più grandi calciatori di sempre trovarsi impotente, insieme al club, di fronte al disastro finanziario venuto a crearsi tra investimenti folli e una serie di contingenze anche sfortunate, tanto da rendere vana persino l'idea di una riduzione esponenziale dell'ingaggio. Un campione di livello assoluto che lascia la sua casa, la sede che lo ha visto proiettarsi nel firmamento calcistico, spiega in modo fotografico ed esatto l'enormità della questione, la proverbiale fine di un'era che lascia più macerie che non germogli da cui poter ripartire.

Leo Messi
La fine di un'era / Anadolu Agency/Getty Images

Més que un club

Un club calcistico è una struttura più che mai complessa ed articolata, soprattutto salendo di livello, e forse può apparire fin troppo romantico pensare che una società abbia un'anima: in senso assoluto forse è così, si potrebbe trattare della ricerca pretestuosa a tutti i costi di un discorso identitario e culturale, ma pensando ai Blaugrana e al seguito che questi hanno saputo creare è evidente come non si possa trattare di una società come tante.

Barcelona v Real Madrid - La Liga
Lo spettacolo del Camp Nou / David Ramos/Getty Images

Il legame col territorio, la vera e propria polisportiva che mantiene tutti sotto lo stesso tetto e non pensa al calcio come al solo asset rilevante, la capacità di generare talento e qualità grazie al valore inestimabile della Masia come centro sia sportivo che formativo a tutto tondo: tutti tratti che negli anni hanno contribuito, sostanzialmente e mediaticamente, a regalare davvero un'anima al Barcellona, rendendolo "vicino" e amato anche a latitudini diverse, anche al di là del tiqui-taca e dei trofei. Diventa utopistico e dannoso pensare ancora a un Barcellona che volta le spalle a un modello simile, fucina potenziale di talento e di ricchezza anche a lungo termine: le lezioni del recente passato sono chiare ed è evidente come un dato patrimonio valga più del cartellino del presunto campione di turno.

La Champions? No, la pazienza

In questo quadro è evidente come la dirigenza e l'area tecnica si trovino a gestire una casa non semplicemente da rimettere in sesto ma, in toto, da rivalutare fin dalle sue fondamenta. Una situazione che poco si sposa con l'esigenza di vincere nell'immediato, che non incontra le abitudini più recenti del popolo blaugrana: la vera Champions League, in questo senso, è simbolica ed è rappresentata dalla capacità di essere pazienti, di capire quali siano i giovani su cui puntare a lungo termine, oltre ovviamente a Pedri e Ansu Fati). Koeman dal canto proprio non si sta risparmiando ed è arrivato a dare spazio anche a giovanissimi come Alex Balde, Gavi e Gonzalez, consapevole di quanto la Masia debba rappresentare ancora una risorsa a cui attingere, dimenticando l'ossessione di collezionare le figurine più costose e scoprendo tesori in casa propria.


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