Cosa vuol dire che la Juventus ha un "problema strutturale"?
Ogni crisi può essere in sé l'occasione per riflettere sul corso degli eventi, difficile però andarlo a dire a chi tutto si aspettava fuorché giorni di magra, periodi appunto di crisi e di cocci da raccogliere. La spinta più spontanea in questi casi è la solita: pescare un colpevole e tirargli roba addosso, fischiarlo, inseguirlo coi forconi. Il volto più utilizzato per il tiro al bersaglio è Szczesny, il motivo non è un mistero e la situazione sta assumendo connotati pesanti, ma via via che le partite aumentano e i punti della Juve restano quelli (uno) il banco degli imputati ospita nuovi protagonisti, persino quelli che, di partenza, dovevano essere i salvatori della Patria. Si sta parlando spesso di "problemi strutturali", analizzando gli eventi di casa Juve, ma di fatto come fare a individuarli?
Una magia non si ripete
Il nome di Max Allegri occupa un posto importante in questa storia, lo occupa suo malgrado poiché vittima di un'etichetta scomoda di "problem solver" che nel tempo si sta tramutando in qualcosa di profondamente diverso. In sostanza l'impressione era quella di due "fastidiosi" anni sabbatici, coi volti di Sarri e Pirlo, tali da interrompere un idillio perfetto con Allegri, un idillio con la vittoria come unico risultato possibile, con finestra sull'eterno sogno Champions. Come a voler dire che per due anni abbiamo fatto i balocchi ma che ora, davvero, si torna a fare sul serio, con l'artiglieria pesante. I "ma" però sono tanti, radicati, i distinguo sono evidenti e tracciano una strada tutta diversa rispetto al ritorno trionfale. Sono tanti gli esempi storici che fanno comprendere come le magie non si ripetano a comando, come soprattutto l'alchimia sia frutto di tanti ingranaggi interconnessi tra loro e non di due o tre figurine messe l'una accanto all'altra, appiccicate un po' con la forza.
Il tempo che passa
Quando si torna in una casa dopo tanti anni, una casa rimasta in altre mani e vittima del passare del tempo, non si ritrova quel contesto che ricordavamo con piacere: i mobili non sono più dove erano, da qualche parte c'è troppa polvere, gli oggetti presentano segni di logoramento, anche i più belli. Senza contare poi che i pezzi più pregiati, nell'arco degli anni, sono stati venduti, si sono rotti, non si trovano comunque più lì. E certo l'impressione del ritorno deve vivere a metà tra i ricordi che tornano in vita e un confronto infelice, col peso degli anni. Non è consolante poi rendersi conto che le parti più solide restino ancora quelle di un tempo, fuor di metafora non fa impazzire l'idea di sorprendersi ancora per Bonucci e Chiellini più che per protagonisti nuovi, oggetti aggiunti negli anni, risorse inedite. Il rimpianto più potente non riguarda certo i ninnoli e le decorazioni ma le fondamenta e la solidità di queste, il discorso "strutturale" appunto che si è via via sfaldato, anche per potersi permettere un gioiello troppo abbagliante, troppo prezioso.
Un mercato alla rovescia
Segnali, questi, che si esprimono alla perfezione nell'ultima sessione estiva condotta sostanzialmente su due binari, su due nomi: da un lato Manuel Locatelli in entrata e dall'altro Cristiano Ronaldo in uscita. Il guaio non risiede né nell'acquisto né nella cessione, in quanto tali, ma riguarda le modalità con cui gli eventi si sono realizzati: che sia accaduto qualcosa di grottesco lo si capisce anche riflettendo sulle dichiarazioni dei protagonisti, da un lato sul gioco infinito (a carte scoperte) che ha tramutato Locatelli nell'oggetto assoluto del desiderio, come soluzione di tutti i mali, dall'altro su Cristiano Ronaldo indicato ancora come protagonista, come elemento "da responsabilizzare ancor di più rispetto al passato", citando Allegri.
L'assenza più pesante
Il confine tra responsabilizzare qualcuno e vederlo fare le valigie è piuttosto marcato. E così, a pochi giorni dalla fine del mercato, la Juve ha dovuto fare i conti con l'addio di chi, di fatto, ne ha condizionato pesantemente gli ultimi anni. Non si tratta, per un'infinità di motivi, di un addio qualsiasi: non è dunque un'auto che devi guidare senza un accessorio, un vezzo, ma diventa un'auto priva del suo motore. Incentrare tutto il mercato in entrata su un nome e cedere in extremis il fulcro della squadra, la sua stella tecnica ma anche mediatica, spiega in maniera efficace e quasi didascalica i segni di cedimento, la natura di un contesto in balia dei venti e non più granitico.
I bis di Morata e di Kean, l'idea/sogno ricorrente di un ritorno di Pogba, il ripercorrere strade già viste per tornare al punto di partenza, sono tutti ingredienti ulteriori che non raccontano rinascite o rifondazioni ma parlano di toppe (seppur di lusso, seppur pregevoli). E così come qualcuno si spese per ridisegnare il logo e per svecchiare l'immagine è evidente che, sul fronte tecnico, non potrà essere la riproposizione posticcia del passato (realizzata o sognata) a dare una vera spinta in avanti.