La coperta corta e il fumo negli occhi: Roma, c'è un qualcosa di non detto
La sconfitta nel derby di domenica non può e non deve suonare come un vero e proprio campanello d'allarme in casa Roma, come presagio di particolari sventure: sarebbe pretestuoso fornire valutazioni tecniche e di merito alla luce di una partita chiaramente segnata da aspetti indipendenti dal potere della squadra ma, al contempo e a prescindere dal derby perso, non mancano segnali da osservare per comprendere i possibili mali giallorossi, quei nodi disseminati qua e là che potrebbero venire al pettine più avanti nella stagione.
Reagire all'emergenza
Intoppi dalle radici piuttosto lontane, che nascono d'estate e fin dalle prime tappe dell'avventura di José Mourinho come tecnico della Roma: il tecnico portoghese ha fatto capire, pur senza partire all'attacco e senza creare un muro rispetto alla società, di aver pianificato sulla carta un mercato diverso da quello che poi ha avuto luogo per "reagire all'emergenza".
In sostanza Mourinho ha giustificato l'operato della società vedendo come il mercato sia stato condizionato dall'infortunio di Spinazzola e dalla partenza di Dzeko, tutt'altro che scontata prima del deciso affondo dell'Inter. Rui Patricio e Abraham rappresentano tracce chiare della mano di Mourinho, delle sue idee, ma non mancano tratti meno coerenti e comprensibili osservando il mercato della Roma e la rosa che, alla fine, è stata messa disposizione del tecnico. Il tema degli esuberi da piazzare è stato un altro importante bastone tra le ruote, un vero limite alla libertà d'azione di Tiago Pinto, ma è chiaro che alcune valutazioni possano risultare adesso discutibili.
Esperienza e garanzie
Mourinho stesso ha denunciato un aspetto passato forse troppo sotto silenzio, soprattutto nell'era dei cinque cambi e con frequenti impegni nazionali e internazionali che si accavallano: una panchina ricca di "ragazzini" e scarsamente fornita di ricambi d'esperienza, elementi già pronti da buttar dentro nel momento del bisogno, senza spazio per ambientamento graduale, timidezza o timore reverenziale.
Evidente come lo stesso Vina, sostituto designato di Spinazzola, non stia fornendo le garanzie opportune sulla sinistra, in attesa del ritorno di un giocatore che ha spesso fatto la differenza, evidente come manchi un'alternativa a Karsdorp sulla destra e come, al contempo, la cerniera Cristante-Veretout rappresenti una chiave imprescindibile che avrebbe trovato in un rinforzo come Xhaka una vitale alternativa, rispetto a Diawara e Villar fin qui coinvolti col contagocce. Altro aspetto che potrebbe destare qualche perplessità è la decisione di puntare su Carles Perez e di lasciar partire di nuovo Cengiz Under, vero incompreso capace di riscoprirsi tirato a lucido a Marsiglia e di generare rimpianti rispetto al collega spagnolo, talvolta fumoso e prevedibile nelle giocate.
Esuberi? Anche no
Accanto a elementi ormai fuori dal progetto e lasciati andare altrove, come Nzonzi e Pastore, c'era e c'è poi una strana coppia finita ai margini ma del tutto immeritevole dell'etichetta di esubero, di pacco da spedire via: Villar e Diawara, 69 e 65 minuti fin qui in stagione, rappresentano un patrimonio da riscoprire e da preservare, senza assecondare chi vorrebbe liquidarli troppo in fretta e senza appello.
Due elementi dalle caratteristiche che potrebbero integrarsi al meglio con quelle dei due titolari, tornando utili all'occorrenza e non solo nei momenti di turnover più estremo: chiaro che la diga Cristante-Veretout sia una delle chiavi per sostenere Mkhitaryan, Pellegrini e Zaniolo sulla trequarti ma, al contempo, è illogico che due elementi ancora giovani possano sentirsi già lontani dalla Capitale, già con le valigie in mano dopo 6 partite dall'inizio del campionato. Il tutto valutando anche possibili infortuni e squalifiche con cui, e Mourinho lo sa bene, occorrerà fare i conti nel corso della stagione.