Com'è nato l'inno della Roma? Storie, aneddoti e curiosità

Antonello Venditti
Antonello Venditti / Roberto Panucci - Corbis/GettyImages
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Nel percorso che ci ha permesso di approcciarsi agli inni delle più importanti società calcistiche italiane abbiamo visto quante sfaccettature sappia avere il rapporto tra le note ed il tifo, quanto forte possa essere il legame emotivo con una particolare canzone e quanto, d'altro canto, esistano realtà che rifuggono in toto il lato più "istituzionale" dell'inno in senso stretto (come nel caso del Napoli e dei suoi tifosi). La natura istituzionale e talvolta "posticcia" di un inno, inteso come componimento studiato ad arte e creato a tavolino, può anche impedire di stabilire un legame così profondo e sincero tra una canzone e uno stadio, tra le note, le parole e una città.

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Da Roma (non si discute, si ama) a Grazie Roma

Al contrario, esattamente all'opposto di una simile condizione, si pone Roma e si pone la Roma. Sulla sponda giallorossa della Capitale, infatti, si può riconoscere immediatamente come l'inno ufficiale del club sia a tutti gli effetti parte integrante di un retaggio identitario, al pari di un simbolo o di una maglia: un felice intreccio tra ispirazione musicale e fede calcistica che si è poi tradotto in uno degli inni più popolari al mondo (con un suo seguito, altrettanto di successo e altrettanto dotato dei crismi dell'ufficialità). Se spesso si è notato come la realizzazione di un inno passi da un fisiologico abuso di cliché, non sempre connessi a una singola realtà calcistica, possiamo notare quanto diversa diventi la faccenda parlando di Roma (non si discute, si ama) del 1974 e di Grazie Roma del 1983, entrambe eseguite da Antonello Venditti.

Per tracciare un ulteriore distacco rispetto ad altri esempi trattati, in cui l'inno ufficiale era accompagnato o persino superato da una pletora di altre canzoni altrettanto amate/sentite dai tifosi, qui emerge in modo potente un unanime meccanismo di riconoscimento, tale da resistere negli anni senza perdere forza. Nell'approcciarsi a Roma (non si discute, si ama) è necessario innanzitutto partire dal fraintendimento di base connesso al titolo: è divenuto naturale per ovvie ragioni riferirsi all'inno che introduce le partite giallorosse all'Olimpico con "Roma Roma Roma", a discapito del titolo originale del pezzo pubblicato nel 1975 e firmato da Scalamogna, Venditti, Latini e Bardotti.

La storia del brano non può che partire dall'intuizione che poi portò alla sua nascita e alla sua successiva esplosione a livello popolare, un percorso svelato anni fa dal compianto autore Giampiero Scalamogna (al secolo Gepy & Gepy) a Il Romanista. Tutto partì nel 1974, da un tragitto in auto affrontato da Scalamogna: il percorso in direzione RCA si tramutò nell'occasione ideale per immaginare una prima bozza, un'impronta di quella che poi sarebbe divenuta la canzone che tutti conosciamo.

Si tratta proprio della genesi del brano: dall'idea, dalle prime parole e dalla prima melodia nella testa fino al primo incontro con un pianoforte, in sala d'incisione, per vedere cosa viene fuori. Da lì in poi la costruzione insieme a un grande nome come Antonello Venditti, col suo immediato "Core de 'sta città" in risposta al "Roma, Roma, Roma" di Scalamogna. Il resto (è il caso di dirlo) è storia, con una genesi certo meno rapida di quanto l'autore immaginasse ma efficace nel suo risultato.

Dove nasce, al di là della popolarità dell'interprete, il peso dell'inno giallorosso? Cosa riesce a renderlo così impermeabile ai decenni che passano e - se possibile - sempre più popolare? Il testo in sé contiene riferimenti destinati a restare impressi: il "cuore" citato inizialmente rende già chiara la dimensione emotiva del brano, così come l'immediata associazione alla città e - dunque - a una forte dimensione locale del tifo, volendolo collocare in quelle stesse strade in cui la canzone è stata pensata. Si passa poi da qualcosa di sussurrato e intimo, sia nei toni che nelle parole, a un'esplosione collettiva: 100mila voci, sì, ma soprattutto il coro che si unisce alla voce di Venditti e costituisce infine un crescendo che (tutt'ora) lascia senza fiato anche gli spettatori neutrali e i calciatori stessi.

Accantonamento e rinascita

Il debutto di Roma (non si discute, si ama) risale al dicembre del 1974 a una sfida interna contro la Fiorentina: il brano, pubblicato poi successivamente, venne diffuso dagli altoparlanti dopo un gol giallorosso, un vezzo non consentito e punito dunque con una multa. Non manca poi un retroscena che ci rimanda in modo diretto a quell'Italia, quella a cavallo tra gli anni '70 e gli '80, un'Italia in cui l'impegno politico come cifra necessaria lasciava spazio ad altro, diventando persino scomodo. Ecco dunque che, già nel '77, Roma (non si discute, si ama) venne sostituita da Forza Roma di Lando Fiorini, altro interprete storico della Capitale e altro tifoso giallorosso.

Anche il testo dell'inno di Fiorini porta in sé riferimenti allo stesso concetto dell'inno di Venditti: una fede che non dipende dai risultati, un legame che è scritto a prescindere dalle sorti sul campo. "Se vinci o perdi nun cambia niente", in sostanza, riprende lo stesso concetto del non discutere una squadra ma di amarla, come da titolo dell'inno attuale, tornato a risuonare all'Olimpico nella seconda metà degli anni '90. Un altro aspetto di unicità legato agli inni giallorossi riguarda la presenza di due inni ufficiali, entrambi interpretati da Venditti: Grazie Roma riesce a essere persino più popolare rispetto all'inno realizzato nel '74, superando per certi versi anche la connessione col calcio per divenire qualcosa di più ampio, come del resto ha ribadito Venditti stesso.

L'associazione automatica con lo Scudetto vinto nella stagione 1982/83 trova un curioso contraltare nel fatto che il pezzo sia stato scritto e registrato in precedenza, nello specifico l'8 marzo del 1983 (due mesi prima della vittoria del secondo titolo giallorosso). Un discorso per certi versi profetico, visto anche a Napoli col brano di Nino D'Angelo scritto nell'anno del primo Scudetto partenopeo, qualcosa che si legava alla connessione con la città in toto e non soltanto con la squadra. Lo stesso Venditti, a Radio Centro Suono Sport, si è espresso così sulle proprie canzoni: "I miei non sono inni ma sono canzoni dove tutti possono sostituire il loro sentimento verso la loro squadra e la loro città".

Non si tratta dunque dell'inno come necessità istituzionale calata dall'altro, ma come espressione naturale di un sentimento, come canzoni d'amore che potrebbero essere dedicate a una donna, a un figlio oppure a una città. Grazie Roma permette tutt'ora, pensando anche alle esibizioni di Venditti, di comprendere quanto il valore del pezzo abbia saputo scavalcare la dimensione dell'inno che accompagna le vittorie di una squadra. Roma, in questo contesto, diventa una condizione più che un luogo fisico: non ci sono riferimenti al pallone, sono storie personali che si intrecciano con quelle globali e lì si rafforzano.

Indietro nel tempo: Campo Testaccio

Andando indietro nel tempo possiamo trovare traccia anche di un altro inno, un inno che di fatto risulta tra i più antichi al mondo e che si lega a un'epoca lontana: quella del Campo Testaccio, dei primi passi della squadra nell'impianto che la ospitò dal 1929 al 1940 (quando venne demolito). La Canzona di Testaccio fu scritta da Toto Castellucci nel 1931, sulle note di un tango argentino: "Cor core acceso da na passione, undici atleti Roma chiamò" sono le parole che aprono il brano, reso poi noto grazie a Sandro Ciotti e al lavoro svolto in occasione dei 50 anni della Roma (nel 1977). In quel frangente la Canzona venne interpretata da Vittorio Lombardi, trovando dunque una traccia permanente e duratura di un retaggio che affondava le radici nel passato remoto e rischiava dunque di perdersi.

Mai sola mai

Non mancano, accanto agli inni riconosciuti come ufficialmente legati al club, altre tracce e altri momenti musicali degni di nota, tanto da rendere la marcia di avvicinamento alle partite della Roma un vero e proprio concerto, un crescendo di note giallorosse. Non si può dunque omettere Mai sola mai di Marco Conidi, una canzone tornata recentemente in auge ma scritta nel 2007. Si tratta di un brano reso nuovamente attuale nella stagione scorsa, la prima di Mourinho alla Roma, e che a dire dello stesso autore Conidi saluta l'entusiasmo tornato in città (testimoniato del resto dai continui soldout all'Olimpico).

"Il mio lavoro è fare il tifoso e la mia vita è la Roma. Questi sentimenti sono puri e credo siano passati nella scrittura. Ora che è tornato l’entusiasmo in città grazie a Mourinho, il grido si è fatto di gioia perché qui siamo fatti così. Se ci dai affetto, noi te lo restituiamo il doppio" ha spiegato Conidi a Tag24. Il brano ha una forte carica nostalgica e fa sicuramente presa proprio appellandosi alla dimensione dei ricordi, della squadra del cuore come compagna di vita.

"Ricordo che quand’ero ragazzino
. Sognavo di essere Agostino
e dare calci alle paure
. Ci sono stati giorni amari che
c’avevo solamente te
e poco altro per star bene
". Accanto al tema della nostalgia si colloca, sempre presente, quello della fede indissolubile e del rapporto di amore tra il tifoso e la squadra. Un incrocio emotivo in cui (in senso sportivo o meno) la Roma rappresenta di fatto un faro, anche nei momenti più difficili, un appiglio che non può risentire delle circostanze.