Colloquio squadra-tifosi: momento costruttivo o deriva da evitare?

Tifosi rossoneri al Picco
Tifosi rossoneri al Picco / Gabriele Maltinti/GettyImages
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Capita, nel cinema così come nella fiction televisiva, che talvolta l'attore di turno si rivolga direttamente alla telecamera e finisca per "guardare negli occhi" lo spettatore: la rottura della quarta parete può causare una sensazione di straniamento, può in qualche modo intaccare la sospensione dell'incredulità, risultando un meccanismo talvolta funzionale ma comunque complesso da gestire.

Nel calcio si può rompere la quarta parete? Sì, può succedere, di fatto è il motivo per cui i tanto discussi "colloqui tra squadra e tifoseria" rappresentano un'ingombrante sgrammaticatura con cui fare i conti, una deviazione dai canoni logici che separano lo spettacolo sul campo dal sostegno sugli spalti.

Rompendo la quarta parete

Il post-partita di Spezia-Milan al Picco, crollo sorprendente dei rossoneri a caccia di un posto nella prossima Champions League, ha reso nuovamente attuale il dibattito su questo genere di confronto: toni e contenuti diversi rispetto a quelli più duri visti in passato, come ribadito da tutte le parti in causa, ma una situazione che - già in sé - può rappresentare una deriva.

Non si tratta di soffermarsi sul contenuto di un colloquio, sul capire quanto i toni siano stati minatori oppure concilianti, ma di individuare uno schema di comunicazione potenzialmente tossico, in grado di rendere una data frangia della tifoseria come interlocutore privilegiato (autoeletto) nei confronti della squadra.

Quest'ultima, tecnico compreso, si trova dunque a dover dare conto a un manipolo di tifosi poiché questi ultimi "pagano il biglietto" oppure "seguono la squadra e hanno il diritto di dire la loro". Il diritto di esprimere il dissenso, però, conosce già diverse strade.

Quella della presenza in sé allo stadio, quella dei fischi, di un coro, di uno striscione, di un "due aste", ci si può voltare dall'altra parte, si può percorrere la via del silenzio, disertare un settore specifico di uno stadio, esistono possibilità innumerevoli per "farsi sentire" e dare alla squadra il polso della situazione nei momenti più duri (come in quelli di gioia).

Mondi diversi, lingue diverse

La logica del colloquio privato, anche a prescindere dal contenuto emerso e dalle reazioni a caldo dei protagonisti, va a rompere appunto quella quarta parete e genera una sorta di "ricatto morale" (pur senza volerlo fare) che connette il gruppo squadra a uno specifico ramo della tifoseria: la logica del professionista che compie il proprio lavoro, dunque, approda ad altro, a richieste diverse, a pressioni più dirette e personali.

Stefano Pioli
Pioli in Spezia-Milan / Gabriele Maltinti/GettyImages

Anche qualora volassero accorate parole d'incitamento, anche volendo immaginare infusioni di coraggio in un momento difficile, l'impressione compresa nel prezzo è quella di un passo più lungo della gamba, di uno sconfinamento poco fondato in territori altrui. La lingua di una squadra non può somigliare a quella di una curva, la grammatica degli ultras (pur senza derive violente) vive altrove rispetto a quella del campo: un punto d'incontro sarà, sempre e comunque, una forzatura da cui guardarsi.