Braccio di ferro senza fine: la Superlega tra nuovi equilibri e un vecchio problema
Le sentenze e le certezze hanno tanta risonanza nell'immediato quanto un destino scritto, quello di potersi ribaltare nel corso del tempo e di poter raccontare storie diametralmente opposte nell'arco di mesi, persino di giorni. Si passa così dal ruolo di carnefice a quello di vittima, da idolo delle folle a imperdonabile autore di nefandezze, costretto a cospargersi il capo di cenere e a tornare al proprio posto con la coda tra le gambe. E la storia ormai infinita chiamata Superlega rappresenta al meglio un simile ribaltamento di prospettiva, lasciando ancora in bilico quel che appariva scritto e rimettendo al centro della scena l'idea dei tre club ancora dentro al progetto, Juventus, Barcellona e Real Madrid.
Il problema resta
La pandemia da Covid-19 in sé, correlata al mondo del calcio, non ha generato dal niente un problema ma ha accelerato una crisi di sistema i cui semi non risultano certo questione di stretta attualità. Certo è che, dopo il primo tentativo poi fallito di sviluppare il progetto Superlega, ogni ipocrisia e ogni forma di pudore nel rappresentare tale crisi sono venute meno, raggiungendo un'espressione più che mai esplicita (a dir poco, considerata la rivoluzione in ballo). I caroselli e il senso di rivalsa dopo il fallimento del primo tentativo di Superlega, ma era facile prevederlo, hanno certo premiato il senso di romanticismo e amore per lo sport palesato dai tifosi ma, al contempo, sembravano già espressioni premature e inopportune di una gioia poco coerente col contesto. Si tratta in sostanza di danzare sul cadavere di qualcuno, di spostare lo sguardo dalla realtà dei fatti: l'estate del 2021 ci ha detto anche altro.
L'estate delle lacrime di Leo Messi, dell'impossibilità di rinnovare un contratto da parte di uno dei club più importanti al mondo, l'estate dei trasferimenti a parametro zero come nuovo paradigma del mercato, l'estate dell'addio di Cristiano Ronaldo passato quasi in sordina a pochi giorni dalla fine del mercato. Realtà più o meno virtuose, più o meno ricche o popolari, denunciano all'unanimità un sistema insostenibile e vicino al collasso, un sistema martoriato anche dai mancati introiti dovuti al Covid ma già turbato da debiti oceanici e da investimenti rivelatisi poi fallimentari, con un Fair Play Finanziario capace di arginare la questione solo parzialmente, in modo talvolta percepito come iniquo e farraginoso. Un contesto che, di certo, non permette a priori di bollare come vaneggiamento o come delirio un discorso mosso dalla volontà di ristrutturare o di ripensare alla base quel che il calcio deve fare per sopravvivere senza ridimensionarsi.
Si ribalta tutto
Ecco dunque che gli ultimi sviluppi sembrano dare nuova linfa, anche inattesa, a chi prematuramente era stato additato come carnefice del calcio inteso come sport, come mondo complesso e ricco basato sulla competizione e sul sostegno da parte dei tifosi. La UEFA e le società promotrici della Superlega si trovano dunque ad essere a fasi alterne parte forte e parte fragile, con ribaltamenti di fronte che hanno visto Juve, Real e Barcellona nuovamente legittimate nel progetto intrapreso, non più percepite come il nemico assoluto del calcio ma come interlocutore da prendere in considerazione.
A questo punto è chiaro come i giochi siano ancora tutti in ballo, senza esiti già definiti a priori, con tanto di spostamento della diatriba su piani sempre più elevati a livello istituzionale, sforando ben oltre i consueti referenti sportivi. L'annullamento delle sanzioni disciplinari da parte della UEFA di certo rappresenta un momento cardine nel braccio di ferro, una nuova legittimazione appunto, e i prossimi passi appaiono meno prevedibili e scontati di quanto potesse prospettarsi mesi fa, a fine aprile. La UEFA stessa non si arrende, pur avendo rispettato quanto stabilito dal Tribunale di Madrid, e ora punta a ricusarne il giudice a causa di "significative irregolarità" nei procedimenti: la prospettiva resta quella del ribaltamento costante, dunque, in attesa della Corte di Giustizia Europea e del suo pronunciamento entro la fine del 2021, tappa cruciale per capire chi potrà davvero assumere una posizione di forza rispetto alla controparte.
Il nodo meritocratico
Resta in ballo un discorso chiave, sicuramente decisivo anche per la percezione del progetto Superlega da parte dell'opinione pubblica e dei tifosi. Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, è tornato a collocare il calcio, visto in una prospettiva moderna, in un universo più ampio in cui la vera competizione per conquistare le nuove generazioni si muoverà su terreno diverso, sulla scelta dunque del pallone come forma d'intrattenimento da preferire a infiniti altri stimoli e non come totem dal successo scontato.
Il nodo chiave resta quello della meritocrazia, parola che si presta però a diverse connotazioni: da un lato si tende a confidare nella permanenza della logica sportiva tradizionale, nella competizione nazionale in cui piccole realtà possono ambire a farsi strada in mezzo alle big e nella competizione internazionale pronta a valorizzare chi si mette in luce nei singoli campionati. Dall'altro lato, riprendendo sempre quanto sottolineato recentemente da Agnelli, la logica meritocratica è da intendere come volontà di valorizzare e premiare i talenti, non dunque la squadra di periferia che sogna in grande ma il talento che cresce col sogno di arrivare ai massimi livelli (la Superlega, appunto). Prospettive difficilmente conciliabili in questi termini, che vedono ancora nella logica della competizione sportiva come discriminante principale il fulcro del discorso: difficilmente, in sostanza, il calcio potrà assorbire (se non forzatamente) una prospettiva di élite e di universo chiuso e ristretto a priori, con una logica che poco si sposa con una storia radicata di riscontro popolare.