Questo è il suo Milan: perché il boom rossonero ha il volto di Stefano Pioli

Stefano Pioli
Stefano Pioli / Marco Canoniero/Getty Images
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Quante volte è stato ripetuto che Roma non si costruisce in un giorno? E certo può stridere un po' pensarlo se in ballo c'è Milano, la Milano rossonera, ma la morale resta in fondo la stessa e il percorso del Milan rappresenta al meglio il peso di una costruzione meticolosa e paziente, di un traguardo da raggiungere senza accelerare troppo il passo o senza aumentare oltremodo i giri.

Un percorso che, per la sua natura, non può che avere il volto e il nome di Stefano Pioli: ora più che mai è sotto gli occhi di tutti come il rendimento rossonero abbia un forte legame col carattere e col temperamento del tecnico che a fine ottobre del 2019 prese il posto di Giampaolo, rendendosi protagonista di un'avventura mai troppo liscia ma, adesso, del tutto appagante. La vittoria esterna sull'Atalanta, intanto, si presenta come il timbro su un rendimento clamoroso in trasferta, con appena due sconfitte rimediate da inizio 2021, con tredici vittorie e un solo pareggio.

Brahim Diaz, Stefano Pioli
Brahim Diaz esulta con Pioli / Marco Canoniero/Getty Images

Come un padre

Al di là delle facili e premature ironie iniziali, con l'hashtag #padrepioli particolarmente in voga dopo l'arrivo del tecnico sulla panchina rossonera, qui si tratta di capire che l'espressione "come un padre" usata da Pioli stesso e dai suoi giocatori non sia utilizzata per vuota retorica o per semplice ruffianeria. Il dato anagrafico è certo importante per considerare questo ruolo così particolare dell'allenatore: la rosa del Milan era la più giovane della Serie A nella scorsa stagione (età media 22,9 anni) ed è rimasta anche nella stagione 2021/22 infarcita di elementi giovani ma già centrali, titolari anche al di là dell'esperienza accumulata negli anni, chiamati a crescere e responsabilizzarsi sempre di più. Giovani chiamati a diventare uomini, in sostanza, con una guida che vada al di là degli schemi e delle giocate, dei movimenti sul campo e degli avversari da studiare: Pioli ha sottolineato a più riprese il ruolo suo e dello staff, pensando anche ai giovani provenienti dall'estero, per facilitare l'ambientamento e per fornire un punto di riferimento stabile in una nuova realtà. Al contempo, al di là della provenienza del talento di turno, diventa vitale e strategica la gestione delle pressioni che una maglia come quella del Milan ti mette addosso, un percorso che ha visto certo in Ibrahimovic un ulteriore riferimento ma che Pioli ha saputo curare al meglio, seguendo la propria via personale tra gli innumerevoli modi di "essere allenatore".

Bruno Astori, Stefano Pioli
Stefano Pioli e il murales per Astori / Paolo Lo Debole/Getty Images

C'è poi un precedente che non si può lasciare da parte: il ruolo che Pioli ebbe quando la Fiorentina, intesa anche come gruppo di giovani calciatori, si trovò a fronteggiare il dramma dell'improvvisa morte di Davide Astori. In poche ore senza il proprio capitano, senza il faro che con personalità e carisma faceva da collante, e Pioli chiamato dunque a creare una nuova idea di gruppo ben più simile al concetto di famiglia (perché in genere è lì che si affronta quel genere di cose, nel privato). Una missione che in pochi avrebbero saputo condurre con simile coraggio, puntando sulla forza del gruppo e sulla possibilità di restare uniti, di continuare a giocare nonostante tutto. Un discorso umano che dice tanto e che, del resto, a Firenze è ancora saldamente riconosciuto.

Fiducia e continuità

Parlando di missioni sportive, eventi certo più comuni con cui un tecnico si trova ad avere a che fare, è chiaro che tutto apparisse inizialmente in salita: l'accoglienza da parte della piazza, anche pensando alla reazione social, non fu di entusiasmo al momento dell'arrivo di Pioli; non era un nome che d'impatto scaldava la piazza, in pochi forse avrebbero scommesso sul fatto che quello stesso tecnico avrebbe riportato il Milan in Champions League dopo una lunga assenza. Ma non finisce qui: oltre allo scetticismo a priori, infatti, Pioli ha dovuto sostenere a lungo una forte pressione, anche mediatica, impersonata al meglio dal fantasma di Rangnick che sembrava inesorabilmente destinato a diventare la guida del nuovo Milan.

Stefano Pioli, Sandro Tonali
Indicazioni a Tonali / Alessandro Sabattini/Getty Images

L'impressione che Pioli stesse tenendo in caldo il posto per un successore più ingombrante era forte, forte ma spazzata via dal solo linguaggio che il calcio riesce a capire: quello dei risultati. Una striscia di dodici partite utili consecutive sul finire del campionato, con nove vittorie e tre pareggi, tale da spingere Gazidis a comunicare che non ci sarebbe stato alcun ribaltone, nessun Rangnick dietro l'angolo ma solo una rinnovata fiducia nell'artefice del ritorno in Europa League. La linea della continuità e della fiducia, del resto, ha trovato un riflesso anche in tempi più recenti nell'operato della dirigenza sul mercato, con Paolo Maldini che si è reso autore di una campagna estiva povera di botti e ricca di attestati di stima verso chi (Tomori, Tonali, Brahim Diaz) meritava ancora credito.

Diventare grandi

Il fulcro della questione è chiaro: il Milan è nel vivo del processo che conduce a diventare (tornare, pensando alla storia del club) davvero grandi. E al contempo sono i singoli giocatori ad aver affrontato lo stesso percorso, ad essere ancora immersi in un processo di crescita e maturazione: già le prime uscite in Champions hanno mostrato come l'entusiasmo e la vivacità dei rossoneri necessitino ancora di una dose di esperienza, al netto degli errori arbitrali, e di ulteriori passaggi per ritenere compiuta la missione.

Rafael Leao
Leao in gol a Bergamo / Alessandro Sabattini/Getty Images

Resta però da riconoscere come l'evoluzione di alcuni giocatori, tra le mani di Pioli, abbia già del miracoloso o perlomeno del sorprendente: un Brahim Diaz con la dieci sulle spalle, capace di responsabilizzarsi senza alcun timore e di ispirare coi suoi colpi, un Rafael Leao finalmente continuo e sempre sul pezzo, non più a sprazzi come in passato, un Tonali capace di ripagare la fiducia del club e di diventare protagonista come non era accaduto nella stagione scorsa, incrementando ogni colpo del suo repertorio e tornando il gioiello che fece innamorare l'Italia ai tempi della B col Brescia, ma anche un Saelemaekers trasformato da illustre sconosciuto a garanzia di equilibrio nel 4-2-3-1, nuovo insostituibile dello scacchiere rossonero. Tutti piccoli grandi capolavori targati Pioli, tappe di un insieme più ampio che dimostra, a tutti gli effetti, come coi fatti l'allenatore abbia saputo rispondere a critiche preventive, sguardi scettici e ingombranti fantasmi, rendendo questo Milan profondamente suo.


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