Chi tace acconsente? No, chi tace sta zitto. L'appello di Lahm ha un problema di logica
"Se qualcuno avesse in mente di farlo (coming out) e dovesse chiedermi consiglio, gli suggerirei di consultarsi con una persona di fiducia e fare onestamente i conti con sé stesso, su quali siano i veri motivi per questo passo. Ma non gli consiglierei mai di parlare di questo tema con i suoi compagni di squadra"
- Philipp Lahm, Das Spiel
Il peso delle parole può essere quello di un macigno, soprattutto quando la bocca che le pronuncia (o la penna che le scrive) è quella di un vero simbolo del calcio tedesco come Philipp Lahm. Campione del mondo da capitano nel 2014, uomo simbolo del Bayern Monaco, ingredienti che non permettono di derubricare le sue esternazioni come banali uscite di un ex calciatore annoiato. Di certo, adesso, predicare prudenza nel fare coming out nel calcio, poiché di questo si parla, può assumere un suono sinistro: perché dovrebbe servire prudenza, insomma, nel raccontare semplicemente se stessi, come uomini oltre che come calciatori? Qui, per sgombrare il campo da ambiguità, non si parla di dichiarazioni omofobe in modo diretto e in senso stretto: le parole di Lahm, espresse nel suo libro Das Spiel, rappresentano un invito alla riservatezza in un mondo che, anche a suo dire, non è pronto ad accogliere e comprendere ma, piuttosto, a giudicare e attaccare senza ritegno, individuando ogni pretesto buono per farlo.
Parole che, pur non volendo risultare omofobe in via diretta, peccano forse di altro: è una questione di logica più che di morale. Lahm cita le offese negli stadi come deterrente all'espressione della propria sessualità: ma non è forse vero che, nei decenni, ogni pretesto è stato buono per ululare, fischiare, lanciare ortaggi e frutta sul terreno da gioco? Non bisogna certo aspettare che questo o quell'atleta esprima il proprio orientamento sessuale: le derive del tifo sono una realtà che vive a prescindere da questo e che, con tutta probabilità, vivrà finché ci sarà qualcuno dentro ad uno stadio. E poi non può essere che l'arma migliore per difendersi sia la verità, magari gestita persino con ironia? Niente, più della capacità di essere veri e onesti, disarma chi ti vede come nemico: l'offesa, la chiacchiera e il fischio fioriscono dove si annida il pettegolezzo, dove "la gente mormora" e non tanto dove le parole sono chiare e dette bene.
Il calcio tedesco, del resto, ha purtroppo vissuto episodi in cui il silenzio ha fatto germogliare il seme della distruzione e dell'annientamento, il caso di Robert Enke racconta tanto: chi stava lavorando alla biografia del portiere, prima del suicidio di quest'ultimo, si rese conto di quanto fosse importante esprimere la propria condizione umana in un mondo che "non poteva permettere che l'ultimo baluardo della squadra fosse depresso". Anche sulla traccia di storie simili, probabilmente, la scelta di tacere e di mantenere il riserbo può essere sì una scelta "comoda" (per il sistema più che per l'individuo) ma non del tutto vincente, non certo risolutiva.
E ancor più male fanno le parole in merito ai compagni di squadra o avversari: a questi, in sostanza, l'atleta non eterosessuale non dovrebbe raccontare o far intendere qualcosa della propria vita sessuale e sentimentale. Che succederà mai? Ti passeranno meno volentieri il pallone o, forse, si sentiranno a disagio a condividere uno spogliatoio? Si tratta in questo caso di rendere palese l'immaturità di un movimento, eventualmente, e di compiere dunque un passo importante, come tutti i passi che mostrano qualcosa senza ipocrisie. Lahm apprezza chi ha scelto di aspettare la fine della carriera per "raccontare certi fatti", lo fa di certo in buona fede e pensando alla sensibilità personale dei suoi colleghi ma, di fatto, sponsorizza un pudore che non sposterà mai lo stato delle cose e che non farà altro che mantenere culturalmente fermo questo mondo che lui stesso definisce "immaturo".
"Chi tace acconsente! No, chi tace sta zitto..."
- Novello Novelli e Francesco Nuti
Un leggendario scambio di battute tra Novello Novelli e Francesco Nuti, nel film di culto Madonna che silenzio c'è stasera (1982), era tutto incentrato sul valore del silenzio: se si entra in un bar e si tace bisogna aspettarsi che il barista ci serva? No, perché di fatto chi tace sta zitto. Lì era il gusto per il nonsense a parlare, senz'altro, ma rimane vero che difficilmente il silenzio avrà il potere di cambiare la realtà, di spostare (o almeno provarci) quello che non va così com'è.