Allergia al turnover? I numeri confermano i principi di Mourinho
C'è un aspetto in grado di rendere José Mourinho, al contempo, un punto di riferimento e un personaggio mediaticamente divisivo all'interno del mondo del calcio: la sua capacità (vera oppure retorica) di distaccarsi dai luoghi comuni e dai cliché che in un dato momento affliggono, o comunque tratteggiano, l'universo calcistico.
Un'allergia alle mode del momento che Mourinho riesce a rivendicare con autorevolezza, forte del palmares e dei risultati, e che adesso trova nuova linfa pensando al rapporto tra lo stesso tecnico portoghese e il turnover, tutt'altro che un idillio come testimoniano i numeri (in questo avvio di stagione, sì, ma non solo).
La conferma dei numeri
I numeri testimoniano l'uso più che parsimonioso delle sostituzioni da parte dello Special One: fin qui, alla settima giornata di campionato, Mourinho ha utilizzato - da titolari - appena 15 calciatori. L'edizione odierna de Il Messaggero traccia proprio una distanza tra quanto fatto dall'allenatore della Roma e i club che, invece, hanno variato più spesso formazione: ben 23 calciatori utilizzati dal Monza, 21 per Juve e Fiorentina, 20 per il Toro, 19 per il Lecce e 18 per big come Milan e Napoli.
Un dato che si colloca comunque in continuità rispetto alla stagione scorsa, anche valutando i cambi fatti a partita in corso: Mourinho finì penultimo, dietro al solo Thiago Motta, per cambi utilizzati. I cambi, appunto: non si parla solo di chi Mourinho fa giocare dal primo minuto ma anche di un uso misurato delle sostituzioni, mediamente ne spende quattro ma non sono mancate occasioni in cui ne ha utilizzate appena tre su cinque possibili.
Una dichiarazione d'intenti
Numeri e dati che sanno di dichiarazione d'intenti e che, appunto, ci spiegano quanto l'allenatore della Roma prenda le distanze da ciò che ormai si dà per scontato: nel calcio dei cinque cambi diventa sempre più utile chi subentra, diventa sempre più strategico azzeccare il cambio giusto. Oppure no?
Mourinho sembra porsi in modo diverso di fronte alle questione, sia per principio che per circostanze, chiaramente. A livello di principio appare eloquente la volontà del portoghese di tracciare una linea di demarcazione tra titolari e riserve, senza alcun pudore o senza quella retorica che vorrebbe "tutti ugualmente utili alla causa", tutti titolari.
Anche riflettendo sul modo che Mourinho ha di trattare il tema a livello mediatico si comprende quanto, tutt'ora, il portoghese non abbracci a priori la logica del turnover: "Non siamo in gita" è stata la risposta a chi sottolineava i pochi cambi effettuati in Europa League rispetto alla formazione vista pochi giorni prima in campionato. Al contempo, pensiamo alla Conference dello scorso anno e alla disfatta col Bodo/Glimt, il tecnico giallorosso spiegò quanta distanza ci fosse a suo dire tra gli undici titolari e le riserve: ancora una volta, insomma, senza nascondersi dietro a un dito e chiamando le cose col loro nome (titolari e riserve, senza autocensurarsi).
Il dato che certo può preoccupare è quello della poca capacità di incidere a partita in corso, anche rispetto alla passata stagione, ma al contempo appare virtuosa la capacità di creare un nucleo solido e stabile a cui fare affidamento, senza una rotazione continua che - spesso - rischia di togliere continuità e certezze all'undici di partenza.
Esiste poi, come detto, una questione non di principio ma di circostanze: non ci riferiamo qui solo agli infortuni ma alle caratteristiche della rosa a disposizione di Mourinho, non del tutto fornita di giocatori in grado di cambiare volto a una partita (con le parziali eccezioni di El Shaarawy e Zalewski, pur se utilizzato come esterno sinistro nel 3-4-2-1). Le gerarchie predefinite e le caratteristiche dei giocatori in panchina, dunque, rafforzano ancora una volta la tendenza di Mourinho: stabilità e continuità prima di tutto, senza cedere alla comune usanza di sfruttare ogni risorsa possibile in rosa, anche a prescindere dai valori tecnici.
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