Nessun cambiamento nonostante la crisi: Fiorentina, serenamente alla deriva

  • Insistenza sul 3-5-2 nonostante risultati sconfortanti
  • Continuo ricorso a risorse interne a livello dirigenziale
ACF Fiorentina v Hellas Verona FC - Campionato Serie A
ACF Fiorentina v Hellas Verona FC - Campionato Serie A / NurPhoto/GettyImages
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La ritualità fa spesso parte del calcio, soprattutto nella dimensione positiva e festosa: esultanze che si ripetono, riti che vengono riproposti e diventano parte della quotidianità di un gruppo. Oppure, passando al lato oscuro della ripetizione, si può notare come la Fiorentina 2025/26 - sempre più sola all'ultimo posto e sempre più orientata al tracollo definitivo - sia divenuta un'habitué delle surreali gite sotto la curva (in casa come in trasferta) per dare conto ai tifosi di quanto accaduto in campo, dell'ennesima sconfitta di una serie infinita.

Continuità senza un perché

Momenti che si ripetono ormai per inerzia e che perdono effettivi significati, concreti riflessi sulle cose di campo, come una sorta di compito da svolgere per provare a "metterci la faccia". Non si tratta però della sola abitudine assunta dalla Fiorentina, squadra e società caratterizzata - in questa stagione - dalla volontà di ribaltare il detto secondo cui "squadra che vince non si cambia". Per quanto parziali siano a questo punto le responsabilità di Paolo Vanoli, rispetto a cose accadute gerarchicamente più in alto, sta sorprendendo anche l'insistenza sul 3-5-2 che - solo a partita in corso e di rado - ha lasciato spazio a nuove strade, a tentativi (come quello incoraggiante nella partita con la Dinamo Kiev).

L'assenza di esterni offensivi è un fattore, allontana il 4-2-3-1, ma il 4-3-2-1 o un classico 4-4-2 resterebbero nelle corde di una rosa che - nemmeno mantenendo lo stesso modulo a oltranza - ha saputo scoprire tracce di stabilità. Lo stesso Vanoli e in parte Goretti, promosso DS dopo le dimissioni di Pradè, hanno per quanto possibile provato a spostare la narrazione sugli eventi viola: dall'idea di una big che inciampa (fin troppo morbida e tenue) a quella di un abisso ormai ad un passo, per dare consapevolezza del momento, un bagno di realismo. Il messaggio, però, non è passato.

Nessun intervento esterno: una linea chiara

D'altro canto, pensando a Commisso e Ferrari, resiste anche un racconto diverso e che si traduce nell'attuale immobilismo. Il proprietario viola ha spesso fatto intendere, con le parole e coi fatti, di vivere una società di calcio alla stregua di una famiglia e di volersi circondare di uomini di fiducia che durino nel tempo: se Pradè non si fosse dimesso, a conti fatti, sarebbe ancora lui il DS. Un quadro reso ancor più chiaro dal vuoto lasciato dalla tragica scomparsa di Barone, vero e proprio braccio destro di Commisso, effettivo riferimento a Firenze di una proprietà distante (ora, per forza di cose, per ragioni di salute).

Appare evidente, ormai da tempo, come la dirigenza viola manchi di un punto di riferimento solido e forte di potere decisionale, con riferimento all'area sportiva: non un semplice DS che si occupi di mercato e tantomeno un DG che rappresenti l'immagine del club, quanto un uomo - essenzialmente di calcio e d'esperienza - che sappia come gestire situazioni di vera emergenza, che sappia tenere le redini di uno spogliatoio raccontato (anche oggi da La Repubblica) come tutt'altro che sereno, la proverbiale polveriera. Anche in questo senso, però, la Fiorentina sembra proseguire nella tendenza ormai radicata: provare a restare "in famiglia", rivolgersi a risorse interne, cercare dentro di sé quegli input che - alla prova dei fatti - restano una chimera.

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