La Legge di Murphy e le ragioni di perplessità sul progetto Fiorentina

La vittoria del Bologna di Vincenzo Italiano in Coppa Italia rischia di scatenare, dal punto di vista della Fiorentina, una poco edificante "sindrome dell'ex": la deleteria tendenza ad osservare le fortune altrui e di struggersi nella consapevolezza di essersi amati nel momento sbagliato, scoprendo poi come l'altro possa splendere altrove. Un rischio concreto che si fa ancor più presente, in uno dei frequenti scherzi del destino offerti dal pallone, in vista dell'incrocio che domenica vedrà proprio Italiano tornare nel "suo" Franchi, farlo da vincente.
Due momenti opposti che si incrociano: da un lato un tecnico capace di riportare al Bologna la Coppa Italia dopo 51 anni d'attesa, d'altro canto una Fiorentina rimasta con un pugno di mosche in questa stagione a tratti promettente ma - nei fatti - semplicemente illusoria. Il pensiero delle finali perse nel triennio fiorentino di Italiano, poi, non fa che enfatizzare la suddetta sindrome dell'ex, andando ad acuire l'amarezza di un ambiente già ferito dall'eliminazione in Conference e dalla sconfitta di Venezia.
La cosiddetta Legge di Murphy c'insegna che "se qualcosa può andare storto, lo farà", un assunto che il mondo viola ha imparato a far proprio e a veder prendere forma a suon di finali perse, di traguardi sfiorati, di salti che apparivano voli ma si perdevano nell'epilogo. Anche volendosi tenere alla larga dall'autolesionistica ricerca dei motivi per patire, figlia del momento, è evidente che esistano all'interno del panorama viola aspetti del progetto (parola spesso indigesta sulle rive dell'Arno) che ora più che mai scatenano perplessità.
Una promessa sospesa
Commisso, nei mesi appena successivi al proprio arrivo, sottolineò come servisse tempo per costruire un percorso vincente o comunque di alto livello: il patron viola prese ad esempio realtà (come l'Atalanta) capaci di ribaltare il proprio status grazie a un tragitto di ampio respiro, senza instant-team o colpi ad effetto. Una narrazione che, col passare del tempo e dei traguardi solo sfiorati, lascia spazio a un dato oggettivo: Atalanta e Bologna, realtà emergenti nel panorama delle big, sono riuscite laddove i viola hanno fallito, ottenendo qualificazioni alla Champions League e trofei importanti (l'Europa League da un lato, la Coppa Italia dall'altro).
Al di là del gap storico con Juventus, Inter e Milan, dunque, la Fiorentina ha perso terreno rispetto ad outsider divenute realtà solide: il tragitto, in questo senso, appare sempre più in salita e distante da quanto la proprietà suggeriva (con fiducia) nelle sue prime schermaglie con la piazza. Il tema dei risultati come chimera si affianca, poi, a quello ricorrente di un gioco che non convince e non entusiasma la piazza: la sensazione di essersi votati al cosiddetto risultatismo senza però averne scoperto il lato più luminoso, al di là dei successi con le big in campionato, serpeggia evidentemente nell'ambiente fiorentino (a maggior ragione osservando i successi di Italiano a Bologna).
Il mercato e i tecnici inesperti
Un tema che percorre poi in modo inesorabile la recente storia viola è quello dei punti fermi impossibili da trattenere a fine stagione: è successo tra gli altri con Chiesa, con Vlahovic, con Torreira, con Nico Gonzalez e con altri elementi centrali nelle logiche della squadra, sacrificati sull'altare del mercato. Il timore ovvio a questo punto, fondato sui precedenti appena citati, è quello di vedere la stessa sorte toccare anche ai vari De Gea, Dodò e Kean, a maggior ragione se lo scenario di una Fiorentina fuori dall'Europa da probabile si facesse aritmeticamente certo.
Non mancano altri aspetti in grado di generare scetticismo nell'ambiente: si può citare un tema sottovalutato in seno alla società ma dirimente nel capire la direzione di un percorso. La Fiorentina non si è mostrata attratta da tecnici esperti o già capaci di imporsi ad alto livello: Italiano e Palladino, i due allenatori su cui i viola hanno scelto di puntare dopo un periodo di ambientamento della proprietà, arrivavano da esperienze di bassa classifica (pur virtuose) e non avevano mai affrontato percorsi diversi, tantomeno di respiro europeo. Il richiamo a profili "alla Sarri" fa capire quanto - da questo punto di vista - la posizione di Commisso sia lontana anni luce da quella di una piazza che vorrebbe attestarsi stabilmente tra le big, senza accontentarsi di essere un trampolino di lancio di chi diventa grande altrove.
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