I 62 punti come timbro sull'anno di Palladino? Una prospettiva fuorviante

In una stagione costellata di momenti di euforia ed entusiasmo, con tanto di proiezione sul sogno di una qualificazione alla Champions League, può apparire paradossale l'apatia con cui la Fiorentina si avvia alla conclusione del primo anno con Raffaele Palladino alla guida.
Una striscia di otto vittorie consecutive aveva dato il via libera a sogni di gloria, le vittorie contro le big (tutte tranne il Napoli, infatti, hanno perso almeno una volta contro i viola) consegnavano alla piazza il desiderio di concretizzare il tutto con un salto di qualità (sotto forma di Champions o Europa League, senza dimenticare la possibilità di un successo in Conference League).
Dall'euforia alla freddezza
Le ultime settimane hanno sgonfiato in modo evidente le ambizioni gigliate, lo hanno fatto con l'eliminazione patita in semifinale di Conference col Betis e - d'altro canto - con la sorprendente sconfitta di Venezia che ha allontanato in modo sensibile le possibilità di qualificazione europea (al netto del 3-2 sul Bologna del penultimo turno).
La sfida di Udine con cui i viola chiuderanno la loro stagione, difficile negarlo, riesce a scaldare solo parzialmente gli animi nell'ambiente gigliato: anche l'idea della quarta partecipazione consecutiva alla Conference (in caso di vittoria in Friuli e di sconfitta della Lazio) non scatena più gli entusiasmi e le motivazioni del popolo fiorentino.
La Conference come premio di consolazione e le perplessità sulla conferma di Palladino: questo il racconto del presente viola, con tanto di contestazione rivolta anche a Pradè oltre che al tecnico, e di desiderio malcelato rispetto a un'estate di cambiamenti profondi. Una prospettiva legata più ai sentimenti di pancia del tifoso che non a quanto fatto trapelare dalla società: il rinnovo di Palladino e le parole di Ferrari fanno sì che, ad oggi, non sia in previsione un ribaltone.
Una narrazione distorta
A tal proposito occorre dare conto di una narrazione per certi versi distorta sull'impatto di Palladino sul mondo viola: si ribadisce a più riprese come i 62 punti (almeno) ottenuti dal tecnico siano un traguardo migliore rispetto al triennio di Italiano (fatta eccezione per il primo anno, il 2021/22, chiuso proprio a quota 62).
Diventa una lente piuttosto deformante da cui osservare la stagione a posteriori, da cui tracciare bilanci: il numero di punti fatti è un dato assolutamente relativo e trova nella classifica un conforto o un annullamento. Uno Scudetto ottenuto a 80 punti, a titolo esemplificativo, vale di più di un secondo posto ottenuto con 90 punti: ciò che resta, da che mondo è mondo, è il traguardo raggiunto e non la quantità di punti fatti per arrivarci.
Le valutazioni sui punti fatti, fatta a prescindere dal resto, distrae da due elementi: innanzitutto dal rendimento deludente contro squadre sulla carta alla portata, in casa come in trasferta, d'altro canto allontana dai giusti distinguo sul livello della squadra a disposizione di Palladino rispetto a quella di Italiano (soprattutto nelle due ultime stagioni in viola). Esistono lati virtuosi del primo anno di Palladino come tecnico viola, pensando al rilancio di Kean e alla capacità di non fossilizzarsi su un singolo modulo, ma raccontare il numero in crescita dei punti fatti come segno di crescita appare una prospettiva fuorviante da cui far partire le analisi.
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