Dzeko come Ibrahimovic nel 2020? La speranza di Pioli per la Fiorentina

Un leader che porti esperienza al gruppo viola: un percorso virtuoso già vissuto con Ibra
Dzeko
Dzeko / ANP/GettyImages
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Nella storia professionale di un tecnico si ricordano ovviamente i trofei, come timbro indelebile e destinato a rimanere, ma restano impresse in modo per certi versi ancor più vivido quelle intuizioni e quelle svolte, positive oppure fallimentari, che hanno caratterizzato il percorso di quell'allenatore. Pupilli, calciatori valorizzati oppure talenti sprecati, svolte tattiche inattese o ruoli stravolti: sono tratti che finiscono per seguire un allenatore nella propria vita sportiva, nel bene e nel male.

Nel caso di Stefano Pioli, pensando alla sua ascesa del tutto peculiare nel mondo Milan (dai #PioliOut allo Scudetto), possiamo citare come virtuoso il ruolo assunto da Zlatan Ibrahimovic per risollevare le sorti della squadra e per avviare quel percorso culminato poi col titolo. Un Ibra allora trentanovenne, al momento dell'arrivo in rossonero a fine 2019, e dato spesso per "finito" sia a causa degli infortuni patiti che per una distanza biennale dal contesto del calcio europeo (resa ancor più lunga proprio dagli infortuni subiti nella sfortunata parentesi al Manchester United).

Stefano Pioli, Zlatan Ibrahimovic
Ibra e Pioli / Jonathan Moscrop/GettyImages

L'approdo a Los Angeles poteva insomma porsi, sulla carta, come ultimo atto - sotto forma di show più che di esperienza sportiva - all'interno di una carriera ricca di successi e di momenti da ricordare, senza necessità di ulteriore legittimazione. Quanto accaduto al Milan, in un 2020 per certi versi irreale da parte di Ibra, spostò del tutto il racconto e premiò in toto la scelta rossonera e la fiducia di Pioli: "Sapevo che avevamo bisogno di questa personalità, questa forza e questo carisma. Abbiamo aspettato che prendesse la decisione, ho sempre pensato che fosse il giocatore giusto per noi" spiegò l'ex tecnico del Milan raccontando, a posteriori, l'intuizione di puntare sullo svedese, sulla sua leadership tecnica e umana.

Dzeko come Ibra? A caccia del bis

Chissà che oggi, nella mente dello stesso Pioli, la scelta di puntare su Edin Dzeko come primo rinforzo della sua Fiorentina non si vada proprio a riconnettere a quella stessa ricerca di personalità e di carisma. La Fiorentina, ad oggi, non ha urgenza di individuare un centravanti titolare - al netto dei dubbi sulla clausola di Kean - ma non è certo un mistero che nella stagione scorsa l'assenza di valide alternative allo stesso Kean abbia rappresentato, oggettivamente, una lacuna (ammessa anche da Pradè nella recente conferenza stampa di fine stagione).

Considerare il bosniaco come vice-Kean in senso stretto sarebbe riduttivo rispetto allo storia dello stesso Dzeko e alle due stagioni al Fenerbahce, vissute da vero protagonista, rispetto a Ibrahimovic si può anche sottolineare come l'ex Roma non abbia mai vissuto periodi di profonda flessione o di forzata inattività per infortunio: ingredienti che non lo rendono, sulla carta, un elemento in grado di fornire soltanto un contributo marginale, a partita in corso. Vero leader al Fenerbahce, capitano e punto fermo nonostante il dato anagrafico: flessione solo lieve nel minutaggio tra il 2023/24 e il 2024/25, con tutte le possibilità dunque - in viola - di approfittare della nuova partecipazione alla Conference League per continuare a trovare spazio.

L'esperienza accumulata a livello internazionale può rappresentare, del resto, anche uno spunto fondamentale proprio per continuare a inseguire quella Conference League sistematicamente sfiorata e mai afferrata. Si è spesso sottolineato, anche in passato, quanto la cura maniacale di ogni dettaglio - dalla dieta alla preparazione atletica - abbia contribuito a regalare a Dzeko una carriera longeva a livello importante: Pioli, con tutta probabilità, avrà trovato in questi aspetti (in aggiunta a quelli strettamente tecnici) un filo conduttore concreto rispetto all'idillio con Ibra, così decisivo per le sorti di quel Milan.

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